Spoiler alert!
Mattia Sedda è un artista del corpo, dell’azione scenica.
Nei primi cinque minuti del suo spettacolo CHOIN ha interpretato, attraverso una magnifica gestualità corporea, il pezzo che per noi millennials ha rappresentato il confine tra l’età adolescenziale e quella adulta: la sigla What’s My Destiny Dragon Ball. L’ha cantata malissimo (e in lingua italiana), esattamente come la state cantando (a mente o a voce alta) voi lettori. “Io so che tu lo sai”.
Lo ha fatto davanti a un eterogeneo pubblico, di cui metà non essendo italiano, non mangiando italiano, non parlando italiano, e non vivendo italiano non aveva la minima idea di quello che stava accadendo. Eppure tutti erano completamente immersi in quella esilarante gag. Come è possibile?
Il connubio perfetto tra il buffone medievale e il comico dell’Arte
È possibile perché Mattia Sedda reincarna in chiave contemporanea il connubio perfetto tra il buffone medievale e il comico dell’Arte: attraverso le sue esecuzioni corporee, assolutamente non realistiche ma “reali” e mai prevedibili, il clown Sedda si allontana dalla concezione testocentrica e letteraria del teatro per ritrovare quella legata alla presenza più che alla rappresentazione. Niente nello spettacolo di Sedda, dal T-Rex attention-seeker al camerata fascista che vuole conquistare Leicester Square a suon di pizza e mozzarella rigorosamente I-T-A-L-I-A-N-E sembra scritto o premeditato, nonostante anche la gag più surreale risulti credibile. Questa è la chiave dello spettacolo di Mattia Sedda, e in generale, del comico Mattia Sedda, assieme al bilanciato mix di semplicità, ritmo e precisione.
Essere un clown è una cosa assai seria
La corporeità provocatoria e grottesca di Mattia si intervalla a dei movimenti gentili, investiti di una purezza che suscita ilarità ma anche una certa nostalgia del fare fanciullesco.
Da bambini, infatti, la massima potenzialità del nostro corpo raggiunge l’apice, essendo scevra da controllo e inibizione. Siamo maldestramente spontanei, più “veri del vero”, trasciniamo per mano la realtà e la facciamo mescolare con il nostro immaginario, senza darle via di scampo. Da adulti questo superpotere viene perso, non alimentato, abbandonato. Mattia invece se n’è preso cura evidentemente allenandosi con grande costanza. Essere un clown, e saper far ridere è una cosa assai seria. Perché Mattia Sedda-buffone ci fa ridere dall’inizio alla fine, ma Mattia Sedda-uomo apre qua e là delle piccole crepe in cui si assume la responsabilità di farci anche pensare che essere migranti, “fittare” una società marcia, non riconoscersi più neanche nei nostri gesti non è poi tanto “normale”.
L’umiltà fuori dal personaggio
Post-spettacolo sono andata a parlare con Mattia e c’è stato un particolare che mi ha colpita: la sua umiltà fuori dal personaggio. Come se dopo la performance si fosse calato nei panni del buon oste, assicurandosi che tutto proseguisse per il meglio. La stessa umiltà che ho ritrovato nell’unica battuta pronunciata dalla versione femminile di Monsieur Hulot, l’attrice Malin Sofia Kvist che ha aperto il numero di Mattia Sedda: “Sono svedese” – ovvero – osservando i miei gesti naturali e innaturali, la mia muscolatura perfetta al servizio di azioni del tutto sconclusionate vi sarete chiesti chi io sia e da dove io venga. Ecco, lei è svedese.
Un’ouverture che ha funzionato come un trailer pre-film nella sala cinematografica. Lo guardi con curiosità mentre aspetti lo spettacolo da te accuratamente selezionato. CHOIN!
Andatelo a vedere all’Edinburgh Fringe 2024