venerdì 20 Settembre 2024
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Zucchero alla Royal Albert Hall: un viaggio lungo quarant’anni tra musica, ricordi e connessioni Umane

Se dovessi utilizzare una sola frase come metonimia che riassumi il concerto di Zucchero, inaugurato alla Royal Albert Hall di Londra per il suo tour internazionale “OVERDOSE D’AMORE WORLD WILD TOUR” sarebbe ”scultura in movimento’’.

Partiamo dalla struttura eclettica dell’iconica venue che incorporando elementi di stili architettonici diversi, come il rinascimento italiano e l’architettura classica greca e romana, ha rappresentato ”il contenitore” perfetto per accogliere la formazione internazionale della band di Zucchero Sugar Adelmo Fornaciari, e il suo pubblico. Un bassorilievo di corpi, luci, colori e suoni interconnessi.

Overdose D'amore World Wild Tour, Billy Lockett
Billy Lockett (copyright Luigi Russo)

Ad aprire il concerto, il giovane piano man Billy Lockett di Northampton

Ad aprire il concerto, il giovane piano man Billy Lockett di Northampton, che ha raccontato, seduto su uno sgabello posto di fronte ad una tastiera, di essersi lasciato dopo dieci anni con l’amore della sua vita. ”Saro’ onesto con voi: ho scritto questa canzone due settimane fa e non ero sicuro di riuscire a suonarla, ma ci provo lo stesso”.

Il ”codice” della sua performance ha ruotato attorno a una brillante capacità di aprirsi all’audience senza esibizionismi performativi, come a dire – sono qui di fronte ad un pubblico che (per sua stessa ammissione) non eguaglia in numero i miei followers sui social. Sono qui solo per voi, ed e’ un sogno che si avvera.

Proseguendo poi, tra un brano e l’altro, ha dichiarato di non avere alcuna grande etichetta alle spalle, ma solo sua madre, ovviamente seduta tra il pubblico. Emotivamente catturati ci ha poi coinvolti nella sua performance, accendendo un coro ancor più carico e pronto ad accogliere la star della serata.

Billy ci ha dunque salutati con un sorriso bello e timido, cosi come è arrivato.

Overdose d'amore world wild tour, Zucchero, Billy Lockett
Billy Lockett (copyright Luigi Russo)

Le luci si sono spente, per riaccendersi qualche istante dopo illuminando Zucchero e la sua incredibile band

Le luci si sono spente, per riaccendersi qualche istante dopo illuminando Zucchero e la sua incredibile band: Polo Jones (Musical director, bass), Kat Dyson (guitars, bvs), Peter Vettese (hammond, piano and synth), Mario Schilirò (guitars), Phil Mer (drums), Nicola Peruch (keyboards), Monica Mz Carter (drums, percussions), James Thompson (horns, bvs), Lazaro Amauri Oviedo Dilout (horns), Carlos Minoso (horns) e Oma Jali (backing vocals).

Zucchero Overdose d'amore tour Royal Alber Hall
Zucchero alla Royal Alber Hall (copyright Luigi Russo)

Non e’ certo inedita l’abilita del cantante reggiano di riuscire a circondarsi di musicisti eccezionali (basti ricordare gli esordi al Festival di San Remo del 1985 con la Randy Jackson Band che eseguì il pezzo ”Donne”). Titolo che, tra l’altro, viene in aiuto per proseguire questo racconto scritto da chi a Zucchero, non solo per cultura musicale ma anche dal punto di vista emotivo, deve moltissimo. La prima menzione speciale va infatti alla cantante camerunense Oma Jali, dotata di una voce e una presenza scenica da pelle d’oca, al punto che se dovesse dar vita ad una nuova religione non stenterei a riconoscerla come divinità, estremamente terrena, dai poteri celesti. A seguire, la batterista Monica Mz Carter, nata e cresciuta a Claveland, Ohio, il cui innegabile talento e’ stato avvalorato e supportato da un’energia portentosa. Da supernova.

Infine, la chitarrista e cantante Kat Dyson, che vanta collaborazioni musicali con artisti come Cyndi Lauper, Prince, Sheila E, Nona Hendryx, Divinty Roxx, Natalie Cole, Ivan Neville, Donny Osmond, e tanti altri, che ha incantato il pubblico con la sua ieraticita’ corporea interrotta dal movimento fluido della mani sulla chitarra.

Zucchero alla Royal Alber Hall, Overdose d'amore tour
Zucchero alla Royal Alber Hall (copyright Luigi Russo)

Zucchero infatti ha omaggiato il maestro Luciano Pavarotti cantando ”Miserere”

Sul leitmotiv della parola ”donne” merita altrettanta attenzione  il momento che ha sublimato il concerto non solo con l’iconica canzone ”Senza una donna” (secondo posto nella classifa Britannica di trent’anni fa), ma anche immortalato sul palco della Royal Albert Hall l’amicizia tra Zucchero e Jack Savoretti. Un’interpretazione toccante, eco di un’altra altrettanto densa di significato. Zucchero infatti ha omaggiato il maestro Luciano Pavarotti cantando ”Miserere” mentre sui maxi schermi il volto in bianco e nero del Tenore appariva maestoso e ricco di sfumature attraverso la sua voce immortale. ”Questo applauso e’ per Luciano”. Cosi Zucchero ha brindato alla sua vita.

Zucchero alla Royal Alber Hall, Overdose d'amore tour
Zucchero alla Royal Albert Hall (copyright Luigi Russo)

La parabola dell’OVERDOSE D’AMORE WORLD WILD TOUR sta però nell’interconnessione, tra corpi, luci, colori e suoni, ma anche tra generazioni diverse

La parabola dell’OVERDOSE D’AMORE WORLD WILD TOUR sta però nell’interconnessione, come si diceva all’inizio, tra corpi, luci, colori e suoni, ma anche tra generazioni diverse. Madri, padri, figli e figlie hanno cantato, sorriso, ballato, applaudito, gridato l’amore per Zucchero e la sua band in una dimensione senza spazio e senza tempo. Immensa come la sua voce. Io stessa, presa dall’emozione, non ho potuto fare a meno di chiamare mio padre alle prime note di ”Celeste”, chiudere gli occhi e immaginare di essere li con lui, in quel momento. E farlo ridere, bestemmiare, piangere, sospirare. Vivere.

Zucchero alla Royal Albert Hall, Overdose d'amore tour
Zucchero alla Royal Albert Hall (copyright Luigi Russo)

Qualcuno dagli spalti ha urlato ”Sei unico”

Adelmo Fornaciari, buono con pane e zucchero, era sul palco ma anche seduto accanto a noi. Con la chitarra a mani ferme e il microfono che sfiorava le labbra, ha condiviso i suoi ricordi legati alla Londra di Camden Town, al fish and chips, alla stessa Royal Albert Hall dove nel 1990 apri’ il concerto a Eric Clapton, e allo stesso albergo che non ha e non vuole cambiare. Qualcuno dagli spalti ha urlato ”Sei unico” e la sua unicità forse vive proprio in questo suo magnetismo dal sapore nostalgico, in cui il coraggio di perseguire l’amore per la musica l’ha portato a rinunciare a ”tutto” e ad avere ”tutto” in cambio. Come dice la canzone scritta assieme al caro amico Francesco Guccini ”Un soffio caldo’’ che l’ha reso un uomo libero.

Zucchero alla Royal Albert Hall, Overdose d'amore tour
Zucchero alla Royal Albert Hall (copyright Luigi Russo)

Dopo i 3 spettacoli alla Royal Albert Hall, il “Overdose D’Amore World Wild Tour” continuerà in Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Stati Uniti, Canada, Francia, Monaco, Germania, Paesi Bassi, Austria, Slovacchia e altri paesi in fase di definizione… con una tappa imprescindibile in Italia, in cui si terranno 5 straordinari eventi prodotti da Friends & Partners:

  • 23 giugno presso il Bluenergy Stadium – Stadio Friuli di Udine;
  • 27 giugno presso lo Stadio Dall’Ara di Bologna;
  • 30 giugno presso lo Stadio Franco Scoglio di Messina;
  • 2 luglio presso lo Stadio Adriatico Giovanni Cornacchia di Pescara;
  • 4 luglio presso lo Stadio San Siro di Milano.

Stefano Ferri: oltre gli stereotipi, una visione autentica della diversità di genere

Stefano Ferri, giornalista e scrittore, ha risvegliato l’interesse del pubblico nel 2015 con il suo coming out come crossdresser. La sua voce, unica e autentica, ha suscitato una riflessione profonda sulla fluidità dell’identità di genere e sull’importanza dell’accettazione e della tolleranza. Nella nostra intervista, Stefano condivide le sue esperienze personali e offre un prezioso punto di vista su come la società possa abbracciare la diversità e celebrare l’autenticità di ogni individuo. 

Stefano Ferri, giornalista e scrittore crossdresser
Stefano Ferri, giornalista e scrittore crossdresser (copyright Cristina Linguanti)

Dopo il mio coming out, che avvenne il 20 ottobre 2015 sul Corriere della Sera, gli amici sono rimasti amici e la famiglia non ha avuto sussulti

Ciao Stefano, grazie per la tua disponibilità. Puoi condividere quali reazioni hai ricevuto dalla tua famiglia, dagli amici e dalla società dopo aver raccontato apertamente la tua esperienza di crossdresser e la tua lotta per il diritto di vestirti come desideri?

In realtà dopo il mio coming out, che avvenne il 20 ottobre 2015 sul Corriere della Sera, gli amici sono rimasti amici e la famiglia non ha avuto sussulti, anche perché le mie uscite pubbliche sono sempre concordate con mia moglie, e a maggior ragione lo fu quella. Sul lavoro ebbi qualche problema, ma nulla che non fosse già stato ampiamente anticipato da avvisaglie nei mesi precedenti, dunque del tutto slegato dal coming out. Il fatto è che non dipende mai dal microfono che usi o dal pulpito da cui parli, ma da chi ti ascolta. Se ti imbatti in brave persone, hai le porte spalancate sempre (come peraltro dovrebbe essere secondo Costituzione). Se invece incontri razzisti, il discorso si fa più complesso. Sui social i leoni da tastiera si sprecarono in insulti terrificanti da cui mi difesi ignorandoli. Nella vita reale dovetti rinunciare a qualche contratto, ma ne trovai altrettanti, perché, ripeto, non di soli razzisti vive il mondo per fortuna.

Stefano Ferri, giornalista e scrittore crossdresser
Stefano Ferri, giornalista e scrittore crossdresser

Come pensi che l’accettazione di te stesso come crossdresser possa influenzare positivamente altre persone che condividono la tua stessa esigenza, considerando la necessità di sfidare le norme di genere imposte dalla società?

Ho l’onore di ricevere settimanalmente messaggi di uomini nelle mie stesse condizioni, che però non trovano il coraggio (o non hanno la possibilità) di uscire allo scoperto. Per esserci passato, so cosa significa. Peggio che in un incubo. Do consigli per come posso, sottolineando di non essere né psicologo né sociologo, dunque di non poter erogare suggerimenti in scienza e coscienza, ma sono sicuro che prima o poi la molla scatterà in loro tutti. In taluni è già scattata, e non hai idea di quanto ne sia felice.

”Rinuncia al tuo potere di attrarmi e io rinuncerò alla mia volontà di seguirti”

Quali suggerimenti offri a coloro che potrebbero essere incerti su come affrontare i propri conflitti riguardo all’identità di genere e all’espressione personale?

C’è una celebre frase di William Shakespeare: “Renounce your power to attract me and I’ll renounce my will to follow you”. Rinuncia al tuo potere di attrarmi e io rinuncerò alla mia volontà di seguirti. La linea di confine tra il successo e l’insuccesso in società passa da qui, per tutti. Certo, per un crossdresser può essere più impegnativo, ma alla fine occorre sempre ricordare che un conto è discriminare un uomo impaurito che indebitamente implora agli altri la loro benevola accettazione, magari nella fattispecie spingendosi a chiedere il permesso di presentarsi “en femme” (come purtroppo facevo io ai miei inizi), mentre ben altro conto è discriminare una persona sicura di sé, che ti si fa incontro col sorriso della serenità e si pone per quello che è, cioè un tuo pari. In questo secondo caso, quasi sempre l’eventuale razzismo della controparte si spegne in pochi secondi.

Anche la bellezza è un potere, un potere grandissimo, e tutta la storia umana, non solo quella dell’emancipazione femminile, sta lì a dimostrare che la cessione di un potere implica conflitti

Stefano Ferri, giornalista e scrittore crossdresser
Stefano Ferri, giornalista e scrittore crossdresser (copyright Cristina Linguanti)

In che modo credi che la società possa promuovere una visione più aperta e inclusiva dell’espressione di genere maschile, incoraggiando l’emancipazione maschile e la rottura degli stereotipi di genere?

Bisogna prendere coscienza che il divieto di indossare gonne, abiti al ginocchio e tacchi per gli uomini è un’incarnazione storica, non una legge di natura, come purtroppo diffusamente si crede. Il problema è che quando la fotografia arrivò, nel 1827 e poi dal 1839 coi ritratti su dagherrotipo, la moda maschile era già com’è oggi. Mancano testimonianze fotografiche di quello che fu, e se ci fossero ci renderemmo subito conto di quante trip mentali ci facciamo. Nel mondo antico nessuno metteva i pantaloni, nel medioevo contadino gli uomini giravano in tuniche corte, nel rinascimento mettevano minigonne e scarpe scollate, ancora nel Seicento gli abiti formali prevedevano gonne ben sopra il polpaccio e nell’Ancient Régime i tacchi erano simboli di nobiltà, tutti i nobili maschi li portavano.

Fu con l’introduzione della macchina a vapore (1769) che le cose cambiarono, perché gli uomini iniziarono a vedere la possibilità di diventare ricchi e potenti grazie alle capacità produttive aumentate esponenzialmente, e decisero la cosiddetta “grande rinuncia” imponendo alle donne lo scambio bellezza-potere: a voi tacchi, parrucche, ciprie, colori sgargianti ecc, a noi soldi e carriera. Un baratto sciagurato su cui il mondo occidentale andò avanti per tutto il XIX secolo e che, dal lato femminile, si iniziò a mettere in dubbio nel XX. Oggi le donne hanno raggiunto posizioni di potere ovunque, nonostante gli uomini abbiano remato contro la loro emancipazione in ogni modo. È ovvio che il desiderio complementare (cioè la tensione verso la propria bellezza) stia sorgendo nella controparte, com’è altrettanto ovvio, ahimè, che le peggiori resistenze provengano proprio dalle donne: anche la bellezza è un potere, un potere grandissimo, e tutta la storia umana, non solo quella dell’emancipazione femminile, sta lì a dimostrare che la cessione di un potere implica conflitti. Attenzione: non mi riferisco solo ai vestiti. Il trasferimento della bellezza fu totale, esteriore e interiore. L’uomo oggi deve riprendersela tutta, deve imparare a lasciarsi andare ad onta della controcultura che glielo impedisce. Per esempio, quale maschio, se piange, non si è mai sentito dare della femminuccia? Ecco, è questo il cancro che va curato.

Stefano Ferri, giornalista e scrittore crossdresser
Stefano Ferri, giornalista e scrittore crossdresser 

Approfittare di una posizione di forza per scagliarsi contro l’altrui diversità può farti sentire grande per dieci secondi

Quali consigli daresti a chiunque si trovi a navigare le acque di una relazione dove uno dei partner esplora la propria identità di genere, come è successo con te e tua moglie?

Direi di imporsi con amore, cioè rispettando i tempi della controparte. Ma occorre anche, come sempre, tanta fortuna. Se non hai accanto la persona giusta è tutto inutile (e peraltro, separarsi dalla persona sbagliata, per traumatico che sia, alla lunga paga).

Come credi che la società possa diventare più accogliente e inclusiva nei confronti delle persone che esplorano la propria identità di genere, considerando il bisogno di promuovere e costruire una cultura che celebra la diversità e l’autenticità di ogni individuo?

Bisogna che la gente capisca che approfittare di una posizione di forza per scagliarsi contro l’altrui diversità può farti sentire grande per dieci secondi, ma poi torni a essere lo sfigato che sei. Perdona lo stile prosaico.

 

Viaggio in Italia: Una Serie di Proiezioni alla Scoperta del Cinema Italiano

In occasione del 70° anniversario dall’uscita del film iconico “Viaggio in Italia” di Roberto Rossellini, ICI London ha dato il via ad una speciale serie di proiezioni che prende il nome dal film stesso. Questa selezione curata offre una panoramica dei migliori film girati nelle città e regioni italiane più affascinanti: 12 films per 12 mesi che raccontano la cultura, la storia e la società italiane.

A proseguire la serie è il capolavoro di Michelangelo Antonioni “Le Amiche” (1955), basato sulla novella di Cesare Pavese “Tra donne sole”. I film esplora le vite di cinque donne dell’alta società di Torino e le loro intricate relazioni con gli uomini. Presentato al 16° Festival Internazionale del Cinema di Venezia, “Le Amiche” ha ricevuto riconoscimenti, incluso il prestigioso Leone d’Argento.

Un’ occasione che permetterà al pubblico ‘intraprendere un viaggio cinematografico attraverso paesaggi e intriganti storie ambientate in Italia

Per un’analisi più approfondita l’evento prevede un’introduzione al film e una discussione post-proiezione guidata da Nick Walker, critico, docente di cinema, programmatore e conduttore di eventi cinematografici a Londra e Rochester.

Un’ occasione che permetterà al pubblico ‘intraprendere un viaggio cinematografico attraverso paesaggi e intriganti storie ambientate in Italia.

L’evento sara’ Giovedì 4 aprile 2024 alle 18:30, presso ICI London. Il film verrà’ proiettato in italiano con sottotitoli in inglese.

E’ possibile prenotare l’ingresso gratuito qui.

 

Joe Sorren: Il Ritorno del Maestro del Surrealismo Impressionista alla Dorothy Circus Gallery di Londra

L’artista Joe Sorren, maestro del Surrealismo Impressionista, torna alla Dorothy Circus Gallery di Londra. Le sue nuove tavole, con toni morbidi e vivaci, evocano emozioni che vanno dall’incanto alla profonda introspezione. La mostra, inaugurata il 12 marzo, sarà ospitata fino al 12 aprile. 

Londra Notizie 24 ospita con grande piacere l’intervista che la direttrice e fondatrice delle Dorothy Circus Gallery, Alexandra Mazzanti,  ha condotto direttamente con l’artista Joe Sorren.

(traduzione a cura di Silvia Pellegrino)

Dorothy Circus Gallery London
Dorothy Circus Gallery London, (copyright Tiffany Lin)

Grazie per esserti unito a noi, Joe, per discutere della tua ultima serie, “Between the Wrinkles”. Il tuo processo creativo è spesso descritto come ”organico”, con i dipinti che sviluppano la loro narrativa mentre li esegui. Essendo tu anche musicista, vedi dei parallelismi tra la natura improvvisativa della pittura e la struttura di una sinfonia?

Sì. E’ la natura del mio approccio; lavoro senza bozzetti o piani preparatori, permettendo alle opere di evolvere e anche di cambiare, ritrovandosi. E’ un po’ come se fosse una improv session a rallentatore.

Le tue opere d’arte spesso rappresentano temi di equilibrio e armonia in mezzo a forze contrastanti, come il giorno e la notte in pezzi come “Morning Had Broken”. Cosa ti spinge ad esplorare questo equilibrio e come gestisci l’interazione degli elementi tra loro opposti nel tuo lavoro?

Trovare quell’equilibrio, creare spazi dove le persone possono muoversi tra quei contrasti, è una delle gioie che provo nel creare immagini.

Yaneise Ramos at DCG London
Yaneise Ramos at DCG London, (copyright Tiffany Lin)

Secondo te, quale è la principale sorgente d’ispirazione per la tua arte: la tranquillità della notte, l’energia del giorno, le prove che la vita ti propone, o la speranza di un nuovo inizio?

Una tra quelle quattro? Posso sceglierle tutte?

Come si manifestano queste ispirazioni nel tuo processo creativo e nei temi che esplori nei tuoi dipinti?

Suppongoche tutto, dalla sensazione che provi quando nuoti in una giornata calda alla gioia di essere con coloro che amiamo e le follie che possono accadere in quei momenti trovano il modo di arrivare mentre dipingo per poterci ”giocare”.

Che Fai? & The Morning has Broken by Joe Sorren, photo courtesy of Amelie Bolshoi
Che Fai? & The Morning has Broken by Joe Sorren (copyright Amelie Bolshoi)

La tua tecnica artistica è innegabilmente unica: mescola elementi dell’impressionismo, dell’astrattismo e di una sottile estetica Pop art. Potresti guidarci attraverso la genesi di questo stile cosi distintivo?

Innanzitutto grazie. Dunque, sono attratto per esempio da come De Kooning manipolava la pittura, il suo uso di colori puri che si mescolavano  in un ”fango glorioso”;  l’energia del suo tratto è così potente. Mi sento similmente ispirato, come sono sicuro lo siamo tutti, dagli impressionisti. Il loro lavoro rimane così fresco, tra i primi a lasciare che il tratto del pennello diventasse una voce importante nella storia, mi spiego?

Cosa succede all’interno degli strati dei tuoi dipinti?

Nel costruire gli strati mi concentro sulla fluidità di ciò che e’ in divenire cosi da poter essere aperto a stimoli e suggerimenti, lasciando che i concetti si sviluppino liberamente.

C’è una complessità nel tuo lavoro che si rivela, ad più attento esame, con strati di movimento e texture sotto la superficie. Come affronti il processo di stratificazione dei colori e delle texture nei tuoi dipinti, e cosa speri che gli spettatori scoprano in queste profondità nascoste?

È come se ogni pezzo presentasse una serie di domande diverse, e mentre lavoro attraverso gli strati, mi chiedo di cosa l’opera abbia bisogno per creare movimento e texture nel design. Spero che questo si evinca e venga considerato nella narrazione.

Christian Vit & Alexandra Mazzanti at DCG London, photo courtesy of Amelie Bolshoi
Christian Vit & Alexandra Mazzanti at DCG London, (copyright Amelie Bolshoi)

Come descriveresti la tua missione artistica a qualcuno che è familiare con una vasta gamma di stili e movimenti artistici? Cosa distingue il tuo lavoro e la tua voce artistica nel fitto panorama dell’arte contemporanea?

Amo quella sensazione di quando il tempo scompare e tu sei immerso dentro al lavoro e contemporaneamente lo stai capendo sempre più in profondità. È il momento capisco di più il mio scopo artistico.Va bene come dichiarazione d’intenti? La mia missione? (ride)

Eni lancia in Regno Unito il progetto HyNet per imprigionare la CO2

Il Regno Unito sottoscrive l’accordo con Eni per l’avanzamento del progetto HyNet, che punta a imprigionare e ridurre la CO2.

Eni lancia in Regno Unito il progetto HyNet per imprigionare la CO2

All’Eni  le autorizzazioni per un mega progetto di trasporto e stoccaggio della CO2.

Tra le grandi opzioni per la transizione energetica ce ne sono alcune che hanno bisogno di sedimentare per poi essere accettate. La cattura della CO2 è tra quelle. Divide, purtroppo, coloro che seguono l’evoluzione della transizione energetica.

Le grandi compagnie si stanno attrezzando per catturarne quanto più è possibile. Gli ambientalisti criticano il metodo, perché in questo modo non si favorisce il passaggio alle rinnovabili. Discussione molto aperta.

Intanto, una grande compagnia italiana come l’Eni ha trovato nel Regno Unito l’alleato più veloce nella cattura della CO2.

La società del cane a sei zampe ha ottenuto, in forma di Development Consent Order (DCO), strumento molto efficace e strategico, per portare avantin in Inghilterra un progetto molto ambizioso.

Il via libera è arrivato dal Dipartimento per la Sicurezza Energetica e Net Zero (DESNZ) del Regno. Riguarda l’HyNet North Westche che trasporta la CO2 da dove viene prodotta ai siti di stoccaggio.

Un progetto che l’Europa guarda con attenzione anche per le dimensioni: interconnette Inghilterra e Galles. Non è il caso di apprezzarlo?

In un anno e mezzo sono arrivate tutte le autorizzazioni e l’Eni è pronta a partire. Il CEO Claudio Descalzi ha ragione quando dichiara che “il Regno Unito rappresenta una destinazione attrattiva per gli investimenti di Eni, soprattutto nell’ambito della decarbonizzazione”.

Ora ragioniamo. Nessun esperto di energia dotato di buon senso pone veti allo sviluppo delle rinnovabili. Tuttavia, c’è un tempo intermedio dove le fonti energetiche vanno bilanciate.

Riduciamo la CO2 imprigionandola, aumentiamo eolico, fotovoltaico, biomasse, ecc. in un arco di tempo realistico.

Sono convinto che andrà così. Ma avremo il famoso mix per non mandare all’aria sistemi sociali ed economie.

Per il Regno Unito l’avanzamento del progetto HyNet è un importante progresso all’implementazione del primo modello al mondo di business regolato.

Nel dettaglio saranno realizzate condotte nuove e riutilizzate infrastrutture già esistenti. Una rigenerazione verde di apparati concepiti decenni fa.

Perché l’Eni è soddisfatta?” Perché la cattura della CO2 avrà un ruolo cruciale nell’affrontare la sfida, eliminando in modo sicuro le emissioni provenienti da industrie che attualmente non dispongono di soluzioni altrettanto efficienti ed efficaci” è sempre Descalzi che risponde.

Anni fa ha avuto occasione di vedere le basi di queste operazioni che il tempo ha reso fattibili e concrete.

Con riferimento al progetto HyNet – dice oggi l’Eni– il nostro sistema di trasporto e stoccaggio avrà una capacità di 4,5 milioni di tonnellate di CO2 iniziale, ma contiamo di arrivare a 10 milioni di tonnellate in pochi anni. Si, nel frattempo le industrie sbufferanno fumi dannosi, ma qualcuno li catturerà.

In conclusione, il Regno Unito galoppa verso obiettivi raggiungibili e vuole formare il primo cluster al mondo contro gli scarichi mortali. Un passo con un po’ (molto) di Italia.

Incontro con Tobia Rossi: Hide and Seek dal teatro al libro

In scena al Park Theatre (park90) di Londra fino al 30 Marzo, Hide and Seek si rivela uno dei successi teatrali dell’anno per la Zava Productions (in collaborazione con Lorenzo Mannelli e Park Theatre). La storia di due ragazzi adolescenti, Gio e Mirco, che si ritrovano casualmente in una caverna dove riescono finalmente ad essere se stessi, mentre tutto il mondo resta fuori, nasce dalla creatività geniale di Tobia Rossi, drammaturgo e sceneggiatore italiano dal talento unico.

Questo racconto prende vita dalla drammaturgia Nascondino, dello stesso Rossi, premiato da pubblico e critica cinque anni fa.

E quest’anno, oltre alla piece teatrale Hide and Seek, la storia sta per diventare un libro. Ne abbiamo parlato proprio con l’autore.

“Lo spettacolo in realtà ha già debuttato a Londra, al Vault Festival, nel Febbraio 2023 – racconta Tobia – e torna al Park Theatre in una produzione in parte ampliata dal punto di vista registico e scenografico, con un cambio di cast e anche un po’ con un lavoro mio sullo script e sulla storia”.

Le parti della piece non presenti al Vault Festival erano state tagliate o ancora non esistevano?

Il Vault Festival ha una durata, dei format, dei tempi molto precisi, perché vi si avvicendano tantissimi spettacoli, uno via l’altro. Le rappresentazioni non possono durare più di un tot. C’è per tutti gli spettacoli una durata massima. Quindi abbiamo condensato un pochino la storia. In questo caso, avendo più libertà, abbiamo pensato insieme alla regista e alla produttrice di dare un pochino più di respiro ad alcune parti della narrazione.

E’ una storia che racconta di quanto possiamo scoprirci simili alla persona che invece, normalmente, intendiamo più lontana

Tobia Rossi, drammaturgo Hide and Seek
Tobia Rossi, drammaturgo Hide and Seek (copyright Tobia Rossi).

Se dovessi raccontare Hide and Seek a chi ancora non conosce la storia, a chi non ne ha mai sentito parlare, a chi vuole capire meglio di cosa si tratta, tu come la racconteresti?
Direi che è una storia che parla di chi siamo, che cosa siamo quando nessuno ci guarda. Il giovane protagonista incontra in un luogo totalmente fuori dal mondo e isolato un altro ragazzo che è un po’ il capro espiatorio della comunità, che viene costantemente vessato con umiliazioni continue. In questo luogo “altro” in cui i due personaggi si incontrano, in questo luogo sospeso, che è un luogo lontano dagli spazi governati dalle regole sociali, quindi lontano dalla scuola, dal paese, dalla comunità, nasce qualcosa di diverso. I due personaggi si conoscono per quello che sono davvero. E’ una storia che racconta di quanto possiamo scoprirci simili alla persona che invece, normalmente, intendiamo più lontana.

La regia di questo lavoro teatrale è di Carlotta Brentan. E’ sempre stata lei la tua regista o è la prima volta che lavori con lei?

Carlotta Brentan ha un ruolo-chiave nella vita di Hide and Seek in generale, perché è anche la traduttrice del testo, quindi lei ha realizzato la versione inglese facendo una splendida traduzione, una vera e propria riscrittura dell’opera originale in italiano. Ha ricreato il linguaggio, lo ha sostanzialmente un po’ riscritto, come sempre accade quando si traduce in modo assennato. Tutte le versioni di Hide and Seek presentate all’estero sono state tradotte da lei. E’ in primo luogo un’attrice ma è anche regista, quindi in questa specifica produzione ha anche curato la regia. Ed è stato molto interessante perché è un testo che lei conosce molto bene, dopo di me o forse anche meglio di me. Inoltre lei ha anche uno sguardo, uno stile, un linguaggio molto affine a quello della storia, che è il linguaggio iper-realistico fatto di silenzi, di sguardi, quasi cinematografico e che particolarmente si addice a questo tipo di racconto, così intimo.

Tu sei drammaturgo, sceneggiatore, story editor…
… e insegnante. Insegno teatro e scrittura in diversi teatri e scuole di Milano, collaboro da qualche tempo col teatro Franco Parenti e con la Scuola Civica di Cinema, ma tengo anche tanti laboratori in scuole pubbliche, licei e scuole medie.

La versione italiana dello spettacolo ha catalizzato l’attenzione di una editor, che mi ha chiesto se mi andasse di scrivere un romanzo per ragazzi adolescenti

Tra non molto Hide and Seek diventa un libro. Com’è nata questa idea?

Grazie per questa domanda, la storia è molto particolare. Il romanzo uscirà a Maggio, quindi tra poco. Grazie a una serie di fortunati incontri e fortunati eventi, la versione italiana dello spettacolo ha catalizzato l’attenzione di un editore, di una editor, che mi ha chiesto se mi andasse di scrivere un romanzo per ragazzi adolescenti, partendo da questa storia. Io, anche un po’ in soggezione, perché sono sceneggiatore e drammaturgo ma non ho nessuna esperienza di narrativa (se non chiaramente come lettore appassionato), ho “studiato” la storia pezzo dopo pezzo mettendomi alla prova attraverso una serie di step nella scrittura di questo romanzo. La cosa è andata bene, grande ruolo ha avuto il rapporto tra me e questa editor, Marta Mazza (Editore Mondadori), insieme alla quale si è costruita l’idea di questo romanzo che amplia il racconto del testo teatrale, quindi crea tutta una serie di percorsi, di personaggi secondari. Dice tutto quello che nel testo teatrale non viene detto, per una questione di sintesi. E’ come se fosse una versione ampliata di quella storia e del suo mondo. Sono molto contento del risultato, non vedo l’ora che esca.

Hide and Seek di Tobia Rossi
Hide and Seek di Tobia Rossi (copyright Mariano Gobbi).

Uno degli elementi portanti è proprio il mondo della provincia capace di produrre gradi spinte in avanti

Vivi a Milano, ma sei originario di Ovada (AL). Il fatto di provenire da un piccolo centro di provincia quanto può aver influito sulla narrazione di questa storia?

Totalmente, al duecento per cento. E’ una narrazione figlia di questo mio passato, di questo mondo legato alla mia infanzia, alla mia adolescenza, che per me è il mondo del racconto. Spesso tendo ad ambientare, a progettare storie in questa arena narrativa che è la provincia, nello specifico la provincia del Nord (Italia, n.d.r.) che è connotata in un certo modo, e credo che ci sia tutto quello in questa storia, assolutamente. E’ una storia che ha una forte identità da quel punto di vista. Chiaramente la provincia che viene raccontata, sia nel testo teatrale che nel romanzo, non è la provincia di quando io avevo l’età dei giovani protagonisti, ma è la provincia di adesso, per cui è diversa, certe cose a livello di consapevolezza, di sguardo sul mondo sono un po’ slittate, quindi mi ha interessato osservarle e studiarle, anche confrontandomi con esperti oltre che con abitanti, amici, parenti. Per rispondere alla tua domanda: sì, uno degli elementi portanti è proprio il mondo della provincia, in qualche modo isolata, in qualche modo sempre un po’ diversa, ma a volte proprio perché così isolata, proprio perché un po’ alla ‘periferia dell’impero’, capace di produrre gradi spinte in avanti.

Ma la provincia di oggi è più aperta rispetto alla provincia di quando eri ragazzo tu?
In qualche modo mi sembra che sia più connessa, nel senso che ha proprio delle finestre, tipo quelle dei social, enormi, che hanno anche i giovanissimi sul mondo, e su mondi anche molto lontani, con la possibilità di raggiungere immediatamente grandi spazi molto distanti, realtà molto lontane. Tuttavia c’è comunque questo filtro dei social su realtà che si possono contattare, come la realtà della città, vicina e lontana allo stesso tempo. Anche se comunque certe cose restano immobili. E io, rispetto a questo, mi sono molto messo in discussione, ho fatto molta attenzione, nella scrittura, per non commettere l’errore di pensare a me adolescente… Ho cercato di essere molto accurato in questa ricerca, in questa indagine; è stata poi una scoperta vedere che alcune cose, tutto sommato, non sono così tanto cambiate.

La tua scelta di trasferirti a Milano è stata essenzialmente professionale, personale, un po’ l’una e un po’ l’altra… oppure è stata una fuga?

E’ stata un po’ di tutte queste cose. Certo, io avevo un “motore” particolare, cioè la passione per il teatro e per la scrittura, per me questa cosa è stata un ‘grimaldello’ per entrare nella grande città e conoscere mille altre realtà. Ricordo che non vedevo l’ora di uscire da quei perimetri così chiusi, più che altro per poi incontrare persone più simili a me, che potessero condividere i miei stessi interessi, desideri, inclinazioni. Sono arrivato a Milano subito dopo la Maturità, nel 2005.

In generale mi piacciono quegli autori che mettono la loro conoscenza delle strutture narrative al servizio di un’intelligenza emotiva e al servizio di una comunicazione rivolta a tutti

Quali sono gli scrittori che ami leggere, e che potrebbero anche un po’ averti influenzato?

Mi piace molto la narrativa americana, Stephen King, ma anche e forse soprattutto Joyce Carol Oates (una delle mie autrici preferite). Mi piacciono anche i classici italiani: Cesare Pavese, Piero Chiara, Beppe Fenoglio. Ovviamente Calvino. Penso che “Nascondino” sia stato influenzato dal mio romanzo preferito che è “Il signore delle mosche” di William Golding, che mescola durezza e favola nera. 
Per quel che riguarda la drammaturgia, quindi testi teatrali, il mio modello è proprio la scuola inglese: Dennis Kelly, Philip Ridley, Alexi Campbell, Mike Bartlett e l’americano Tony Kushner. Ma amo anche molto il cinema: Todd Solondz, Jane Campion, Guillermo del Toro.
In generale mi piacciono quegli autori che mettono la loro conoscenza delle strutture narrative al servizio di un’intelligenza emotiva e al servizio di una comunicazione rivolta a tutti.
E chissà che, dopo il teatro e la letteratura, Hide and Seek non possa fare capolino anche al cinema, per incontrare un pubblico ancora più ampio. Sarebbe un altro, autentico successo.

C’è Ancora Domani: Riflessioni delle nostre redattrici dopo la prima visione a Londra

Alla quattordicesima edizione del Festival Cinema Made in Italy è stato proiettato l’attessissimo film C’e’ ancora domani di Paola Cortellesi, accolto dal pubblico di Londra nella sala del Ciné Lumière con calore ed entusiasmo.

C'e' ancora domani, illustrazione di Simona De Leo
C’e’ ancora domani, illustrazione di Simona De Leo

Scrivere di un film di cui si è detto già tanto non è cosa facile, ma la scelta del taglio che stiamo dando a questo articolo è stata dettata da un’esigenza corale

Scrivere di un film di cui si è detto già tanto non è cosa facile, ma la scelta del taglio che stiamo dando a questo articolo è stata dettata da un’esigenza corale. Chi lo sta leggendo infatti si ritroverà a destreggiarsi tra punti di vista, riflessioni, storie personali e immagini evocative, ingurgitate e (semi)metabolizzate dalle donne della nostra redazione. Ci siamo confrontate, del resto è inevitabile dopo la visione di C’è ancora domani.

Paola Cortellesi al Cinema made in Italy festival, Londra
Paola Cortellesi al Cinema made in Italy festival,Londra (copyright Roberta Leotti)

Il film riempie gli occhi di un bianco e nero che omaggia il cinema italiano del passato, e poi li annega in una storia che assomiglia a tantissime altre e le sublima tutte insieme

Il film riempie gli occhi di un bianco e nero che omaggia il cinema italiano del passato, e poi li annega in una storia che assomiglia a tantissime altre e le sublima tutte insieme. Il neorealismo pop di Paola Cortellesi gioca fuori dai confini del tempo e al messaggio che vuole mandare ti ci fa arrivare piano, come una danza. Alla fine del film (tolti i cinque, dieci, venti minuti di applausi meritatissimi nelle sale dove è stato proiettato, compresa quella del Ciné Lumière di Londra) c’è silenzio. Un silenzio che è il fil rouge che collega la rabbia alla liberazione. Ieri all’oggi, e poi a quel domani che ancora deve avvenire.

Quante volte abbiamo sentito di donne che seppur massacrate fuori e dentro, sono rimaste perché “Altrimenti dove vado?”. ”Rimango perché non posso fare altro’’

Da una parte abbiamo dunque Delia (Paola Cortellesi), metonimia delle donne (del dopoguerra) vessate fisicamente e psicologicamente dalla società perché “non sei n’omo”, dai mariti autoritari, e dai padri-padroni che per liberarcene in parte abbiamo dovuto aspettare la morte di un’intera generazione (sorry but not sorry). Poi c’è Marcella (Romana Maggiora Vergano), figlia di Delia, che rappresenta il desiderio di cambiamento e ribellione, ed infine Marisa (Emanuela Fanelli), migliore amica di Delia, che simboleggia una finestra su un mondo di possibilità e scelte diverse da quelle imposte dalla rigida realtà in cui Delia si trova. Una donna che rappresenta non solo la solidarietà femminile ma anche l’emancipazione economica che la porta ad essere “libera”.

Quante volte abbiamo sentito e continuiamo a sentire storie, spesso vicinissime a noi, di donne che seppur massacrate fuori e dentro, sono rimaste perché “Altrimenti dove vado?”. ”Rimango perché non posso fare altro’’. Marisa è la resistenza, la visione di un’esistenza diversa in cui le donne rifiutando il ruolo dell’ancella, lottano per il cambiamento personale e sociale.

Paola Cortellesi al Cinema made in Italy festival, Londra
Paola Cortellesi al Cinema made in Italy festival, Londra (copyright Roberta Leotti)

L’importanza poi di comprendere il passato per affrontare le sfide del presente e costruire un futuro più equo e inclusivo per le donne italiane è fondamentale

“Una donna (Paola Cortellesi) che parla di un disagio sociale così profondo è una donna coraggiosa. Soprattutto perché ancora oggi nel mondo di situazioni così ancora esistono. Proprio su questa tematica abbiamo recentemente parlato con Emma Sabatelli, avvocatessa e docente universitaria, che attraverso il racconto delle proprie esperienze personali e familiari ha gettato luce sulle difficoltà incontrate dalle donne nel perseguire l’indipendenza economica e professionale. Temi che risuonano profondamente con la narrazione di Delia e delle altre donne nel film. L’importanza poi di comprendere il passato per affrontare le sfide del presente e costruire un futuro più equo e inclusivo per le donne italiane è fondamentale” – ha commentato la redattrice Annalisa Valente.

Un altro aspetto rilevante è la ‘’banalità’’ ossia la normalizzazione della violenza

Prosegue la redattrice Roberta Leotti: “Un altro aspetto rilevante è la ‘’banalità’’ ossia la normalizzazione della violenza. Ivano, marito di Delia interpretato magistralmente da Valerio Mastandrea, (inizialmente titubante nell’accettare un personaggio così atroce e lontano da lui), minimizza e si avvale di ragione a ogni percossa, nascondendosi dietro la frase ‘’sai com’è ho fatto due guerre…’’

Già nella prima scena giace tutto il taglio stilistico della regista Cortellesi.

La scena di violenza diventa una coreografia sulle note di ‘Nessuno’ di Mina, nel film interpretata da Musica Nuda, Petra Magoni & Ferruccio Spinetti.

Come ha spiegato la stessa Cortellesi alla fine della proiezione:

– Se guardiamo al testo, le parole della canzone sono quelle che si dicono gli innamorati, ma in questo contesto diventano simbolo dell’amore tossico –  

Paola Cortellesi al Cinema made in Italy festival, Londra
Paola Cortellesi al Cinema made in Italy festival, Londra (copyright Roberta Leotti)

Una scelta quella della danza che evita di convogliare la narrazione solo sull’aspetto degli abusi

Le percosse a loro volta si fanno rituale, perché sono il quotidiano. Quando Delia viene picchiata sa già che ci saranno presto altre botte e altri lividi. Una scelta quella della danza che evita di convogliare la narrazione solo sull’aspetto degli abusi.

– Quando ho proposto un film in bianco e nero ambientato nel dopoguerra ai produttori inizialmente non è stato accolto con l’entusiasmo come quando si fa il trenino a fine anno…Pepe’-pepepepe’, pepe- pepepepepepe’…- ha proseguito la regista nella sessione del Q&A.

Ma lei non ha demorso. Il film che ha scritto, diretto e interpretato l’ha realizzato in primis per la figlia Lauretta (tra l’altro presente in sala all’insaputa della madre), per tutte noi e per invitare gli uomini a camminare insieme.

E se non vi è piaciuto (come ha detto la Cortellesi prima della proiezione) andatevene alla chetichella…”

Per chi si fosse perso la proiezione di “C’è ancora domani”arriva la buona notizia: il film sarà distribuito nelle sale del Regno Unito a partire dal 26 aprile.

Antonio Morabito, la musica classica italiana in concerto

Mesi densi di concerti per il pianista Antonio Morabito, da solo, con il Duo Mercadante e in coppia con Giuseppe De Luca.

Antonio Morabito, la musica classica italiana in concerto

Quella del Maestro Antonio Morabito, pianista italiano dal 2020 attivo a Londra (oltre che nel resto dell’Inghilterra e in Italia) è una storia di musica, e non solo. È una storia di valori personali e di collaborazioni prestigiose nate anzitutto da rapporti di stima che poi si è trasformata in amicizia, e che a sua volta ha dato vita a progetti musicali di spessore.

Il pianista Antonio Morabito (ph. Https//antoniomorabitopianist.com).
Il pianista Antonio Morabito (ph. Https//antoniomorabitopianist.com).

Laureato in Pianoforte al Conservatorio di Cilea (sotto la guida di Marialaura Cosentino, che continua ad essere un punto di riferimento per lui), si è poi perfezionato al Royal College of Music di Londra.

È stato proprio qui che ha incontrato Samuel Huston, clarinettista londinese, col quale ha fondato circa un anno fa il Duo Mercadante. Ed è sempre l’amicizia il collante che lo lega anche a Giuseppe De Luca, baritono di origini calabresi diplomato all’Accademia alla Scala di Milano, col quale Morabito condivide un progetto musicale imminente.

Il baritono Giuseppe De Luca (ph. Https//antoniomorabitopianist.com).
Il baritono Giuseppe De Luca (ph. Https//antoniomorabitopianist.com).

Il 2024 per Morabito è partito denso di impegni prestigiosi, di appuntamenti musicali importanti (sia per chi suona che per chi ascolta): dopo i tre concerti di Febbraio, di cui uno solista e gli altri del Duo Mercadante, la nuova esibizione del Duo di domenica 17 Marzo alla Cappella della Trinità del Trinity College di Cambridge (di cui abbiamo scritto nei giorni scorsidi cui abbiamo scritto nei giorni scorsi) ha rappresentato l’appuntamento clou del mese.

“Il concerto del 17 Marzo è il più importante fatto come Duo Mercadante – dice Antonio – perché siamo stati invitati dal prestigioso Trinity College di Cambridge in occasione di un festival organizzato per celebrare il compositore inglese Stanford, non troppo conosciuto a livello mondiale quanto in Inghilterra. Ingiustamente, perché ha scritto della musica di grande qualità”.

Nel centenario della morte di Sir Charles Villiers Stanford, il Duo si è esibito quindi in una Sonata per clarinetto e pianoforte, composta proprio da Stanford.

“Io e Sam – racconta Morabito – siamo stati colleghi al Royal College of Music, quindi abbiamo instaurato un bel rapporto di amicizia, lui è un musicista strepitoso … abbiamo deciso di costruire qualcosa di bello insieme, per cui abbiamo dato il via a un gruppo. Quando pensavamo al nome io ho proposto ‘patriottisticamente’ un compositore italiano che è stato ben accettato da Sam, sebbene Mercadante sia un compositore poco conosciuto ma di grande qualità, che ha scritto un concerto per clarinetto e orchestra”.

Aprile vedrà invece il Maestro Morabito collaborare col baritono Giuseppe De Luca per tre concerti: 17 Aprile: St. Olave Hart Street, London; 12 pm, 24 Aprile: St. Mary Le Stand Church, London (con la violinista Anna Ovsyanikova); 7.30 pm, 27 Aprile: St. Peter’s Church, Chiswick; 7.30 pm, preceduti da un concerto solista il 16 Aprile presso “Edgware & Hendon” Reform Synagogue, London; 13 pm, e intervallati da un altro concerto solista presso Hampstead Garden Suburb Free Church, LondonI tre concerti col baritono De Luca sono promossi in occasione del centenario della morte del compositore Giacomo Puccini e il programma include le più belle arie composte da Puccini e Tosti, i due più importanti musicisti italiani nell’ambito stilistico del Verismo. Il tutto, arricchito da pezzi di Chopin, eseguiti al pianoforte dal Maestro Morabito. Ma non solo.

“Il tour col baritono – spiega Antonio – nasce da una profonda amicizia con Giuseppe De Luca, siamo entrambi reggini. E lui è un professionista strepitoso. Omaggeremo anche un compositore di Reggio Calabria, Francesco Cilea, grandissimo pianista. A inizio concerto eseguiremo un’aria tratta dalla sua opera principale. Finiremo poi con dei bis napoletani, grandi classici”.  

I concerti del duo Morabito-De Luca saranno patrocinati dal Consolato Generale d’Italia a Londra.

A maggio Morabito suona all’Istituto Italiano di Cultura

Maggio sarà inoltre il mese di tre importanti concerti solisti di Antonio Morabito:
8 Maggio: St. Olave Hart Street, London; 13 pm; 15 Maggio: Sala Concerti di Casa Verdi, Milano; 16 pm; 22 Maggio: Istituto Italiano di Cultura, London; 6 pm.

“Al concerto del 22 Maggio tengo particolarmente – spiega Antonio – è il più importante di quest’anno, per il valore che io gli do, perché suonerò all’Istituto Italiano di Cultura. Sono molto affezionato alle mie radici, chi mi conosce lo sa, per cui ho un legame molto importante con la comunità italiana a Londra, tra l’altro i miei studi al Royal College sono stati finanziati dall’associazione culturale italiana Il Circolo, che io sempre ringrazio. Quando scelsero me come studente dello scolarship (borsa di studio, n.d.r.) mi sono sentito onorato e responsabilizzato, è una cosa in cui credevo, quindi la magia è stata questa: loro hanno scelto me e io ho sposato la loro mission, cioè la promozione della cultura italiana all’estero. Non sono uno di quegli italiani che vanno all’estero e rinnegano le proprie origini, anzi io ne vado orgoglioso e cerco di promuoverle, di metterle sempre in evidenza”.

La struttura del concerto solista di Antonio Morabito è ben precisa, come ci spiega lui stesso: “Parlerò della cultura italiana in una maniera un po’ trasversale, atipica, tramite le opere pianistiche che presenterò: attraverso il programma del concerto sottolineerò quanto la musica italiana, quella colta, dei secoli passati, abbia influenzato lo sviluppo della musica colta europea e, viceversa, quanto l’Italia abbia assorbito anche dal resto del mondo. Ad introdurre il tutto ci sarà Federica Nardacci, bibliotecaria e musicologa del Royal College of Music, e io stesso durante il recital sottolineerò queste relazioni con la cultura italiana all’Istituto Italiano di Cultura, quindi quale miglior posto?”

I concerti di Giugno vedranno nuovamente protagonista il Duo Mercadante:
14/06: Methodist Church, Ampthill; 2 pm;; 8/06: Great St Mary’s Church, Cambridge; 1 pm.

Come è evidente, la maggior parte di questi eventi musicali si svolgono in Cattedrali e chiese principali, quindi anche per Antonio Morabito e i suoi partner musicali si perpetua la tradizione, molto frequente in Inghilterra, di esibirsi nelle chiese anglicane, che hanno sempre importanti stagioni concertistiche.

Dopo il mese di Giugno, l’estate del Duo Mercadante potrebbe avere una puntata tutta italiana. E’ lo stesso Antonio ad anticipare questa possibilità. “Quest’estate molto probabilmente parteciperemo in Italia a un festival di musica internazionale che si tiene ad Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria, dove ho un contatto stretto col Maestro Stefano Calderone. Lui sta organizzando il festival in questo comune piccolino, ma caratteristico. Faremo di tutto per esserci”.

La carriera di musicista di Antonio Morabito procede di pari passo con quella di insegnante. Dopo aver insegnato pianoforte in Italia sia in scuole pubbliche che private, ora insegna al Royal College of Music. Inoltre è Professore di Pianoforte presso il Blackheath Conservatoire alla Cardinal Vaughan Memorial School di Londra e direttore del coro presso la St. Augustin Church in Hammersmith.

Ecco che vuol dire insegnare musica a Londra

Ma com’è insegnare a Londra? Che allievi sono i ragazzi inglesi?

“Mi piace molto insegnare – ci dice Antonio – insegnando si impara tanto. Se c’è differenza tra insegnare a ragazzi italiani e insegnare a ragazzi inglesi? A livello di talenti non abbiamo nulla da invidiare, il talento non ha location. Ma insegnare in Inghilterra mi ha dato la possibilità di entrare in contatto con studenti provenienti da tutte le parti del mondo, con background culturali e genetici pazzeschi, che magari in Italia non si incontrano perché Londra è un ambiente più cosmopolita. Il fatto di entrare in contatto con culture diverse, attraverso gli occhi e i racconti di questi ragazzi, è bellissimo e mi dà anche l’opportunità di migliorarmi nell’insegnamento. Perché secondo me ciò che bisogna sempre fare come insegnante è adattarsi al ragazzo, mi piace pensare che ogni ragazzo è uno scrigno, bisogna trovare la chiave giusta per aprirlo e far uscire tutte le cose belle che contiene. Se un insegnante utilizza la stessa chiave per tutti non può funzionare.

“Se si insegna in un contesto piccolo – prosegue Antonio – a livello culturale ci si raffronta con la medesima situazione (anche se nessuno è mai uguale a un altro)… Il modo di empatizzare è fortemente diverso. Questo mi dà l’opportunità di essere un insegnante nuovo per ogni allievo, e questa cosa è bellissima, mi piace molto”.

Quindi, che sia al cospetto di un pubblico o di una classe di allievi, l’impegno, lo stile e la classe di Antonio Morabito portano alto il nome dell’Italia nel mondo. Partendo dal cuore, che è la cosa più importante, sempre.

Melodie nell’Anima: Il viaggio emozionale di Andrea Vanzo alla Conway Hall di Londra

Il suggestivo concerto del musicista e compositore Andrea Vanzo, organizzato da Augusto Casciani di ItaliaES, ha modellato lo scorrere del tempo nella sala gremita della Conway Hall di Londra, lo scorso 22 marzo.

Il concerto, definito dall’artista un excursus nel suo sentire, e’ stato un vero e proprio viaggio corale fatto di suggestioni e immagini evocative

Andrea Vanzo in concerto alla Conway Hall di Londra
Andrea Vanzo in concerto alla Conway Hall di Londra (copyright Luigi Russo)

Compositore contemporaneo stimato e carico d’estro, Andrea Vanzo ha regalato agli spettatori un viaggio emotivo attraverso i brani del suo album “Intimacy (vol. 1)”, partendo proprio dal brano che prende lo stesso titolo dell’album.

Il concerto, definito dall’artista un excursus nel suo sentire, e’ stato un vero e proprio viaggio corale fatto di suggestioni e immagini evocative, toccando vette altissime con brani come Soulmate, dedicato a sua madre, e Snowflakes, che ha chiuso la performance.

Andrea Vanzo in concerto alla Conway Hall di Londra
Andrea Vanzo in concerto alla Conway Hall di Londra (copyright Luigi Russo)

”Mi sono immaginato questo fiocco di neve, leggero e quasi impercettibile, che si faceva trasportare dal vento. Questa immagina mi ha fatto pensare che io, che tutti noi, siamo come fiocchi di neve, trasportati dal vento attraverso la vita”.

Con le sue abili mani danzanti sui tasti del pianoforte, Vanzo ha saputo creare atmosfere innovative e minimali, impreziosite dai paesaggi della sua amata Sardegna che hanno fatto da eco alle sue emozioni più intime e profonde. Per ogni nota una storia condivisa.

La formazione classica di Andrea Vanzo, consolidata al Conservatorio G.B. Martini di Bologna, si mescola armoniosamente con influenze pop e cinematografiche

La sua formazione classica, consolidata al Conservatorio G.B. Martini di Bologna, si mescola armoniosamente con influenze pop e cinematografiche, conferendo alle sue composizioni una ricchezza e una profondità rare nel panorama musicale contemporaneo.

Andrea Vanzo in concerto alla Conway Hall di Londra
Andrea Vanzo in concerto alla Conway Hall di Londra (copyright Luigi Russo)

Dimostrando ancora una volta la sua straordinaria versatilità e il suo talento eccezionale, Andrea Vanzo ha saputo non solo incantare il pubblico con la sua musica ma anche intrattenerlo con la sua spontaneità e voglia di comunicare la sua vulnerabilità senza alcun filtro.

Il concerto è stato molto più di una semplice esibizione musicale: è stato un viaggio emozionale, un’immersione nell’intimità della musica e dell’anima dell’artista

Andrea Vanzo in concerto alla Conway Hall di Londra
Andrea Vanzo in concerto alla Conway Hall di Londra (copyright Luigi Russo)

Da sottolineare anche la pregevolezza del videoclip della title-track dell’album, girato con un pianoforte posizionato in cima a una montagna a duemila e cinquecento metri di altezza, che conferma la creatività di Andrea Vanzo nel trasformare la musica in un’esperienza visiva e sensoriale completa.

Andrea Vanzo in concerto alla Conway Hall di Londra
Andrea Vanzo in concerto alla Conway Hall di Londra (copyright Luigi Russo)

In conclusione, il concerto è stato molto più di una semplice esibizione musicale: è stato un viaggio emozionale, un’immersione nell’intimità della musica e dell’anima dell’artista.

 

Londra: nuovi scioperi e disservizi attesi ad aprile

Rmt accetta l’accordo e li sospende, Aslef ne annuncia altri per i prossimi mesi a Londra: nuovi scioperi e disservizi attesi ad aprile.

Londra: nuovi scioperi e disservizi attesi ad aprile annunciati da Aslef

Dopo turbolenti mesi di trattative tra novembre e febbraio, la situazione riguardante i mezzi pubblici londinesi pare essere ben lontana dal risolversi. Infatti, nonostante l’unione dei sindacati Rmt (tra le più attive in questi mesi e anni di scioperi) abbia accettato l’accordo con Tfl e il governo britannico lo scorso febbraio sospendendo tutti gli scioperi indetti, la campagna di scioperi annunciata da Aslef, unione che rappresenta il 96% dei macchinisti in Gran Bretagna, continua.

Nel novembre dello scorso anno, i membri di Rmt, comprese le guardie e il personale della biglietteria, hanno votato per accettare un’offerta di pagamento che includeva un aumento salariale retroattivo del 5% per il 2022-23, nonché garanzie sulla sicurezza del lavoro. Invece i macchinisti delle ferrovie Chiltern, c2c, East Midlands, Northern e TransPennine avevano precedentemente votato per continuare lo sciopero per sei mesi. Si uniscono ai membri dell’Aslef insieme ad altre 11 compagnie ferroviarie che a dicembre avevano sostenuto la continuazione degli scioperi.

Come riporta la Bbc l’Aslef chiede una retribuzione migliore per i suoi membri e afferma che agli autisti viene chiesto di sacrificare le condizioni di lavoro in cambio di un aumento salariale. Nell’aprile 2023, il suo comitato esecutivo ha rifiutato un’offerta che li avrebbe visti ottenere un aumento di stipendio del 4% per due anni consecutivi. Da allora non ci sono stati colloqui formali.

Ma come e quando colpiranno gli scioperi di aprile?

Aprile, il calendario degli scioperi

I macchinisti iscritti al sindacato Aslef scioperano per 24 ore a partire dalla mezzanotte nelle seguenti date:

  • Venerdì 5 aprile : Avanti West Coast, East Midlands Railway, West Midlands Trains e CrossCountry
  • Sabato 6 aprile : Chiltern, GWR, LNER, Northern e TransPennine
  • Lunedì 8 aprile : c2c, Greater Anglia, GTR Great Northern Thameslink, Southeastern, Southern/Gatwick Express, linea principale e autisti del deposito della South Western Railway e SWR Island Line

Inoltre, gli iscritti all’Aslef si rifiuteranno di lavorare anche nei giorni di riposo da giovedì 4 a sabato 6 aprile e da lunedì 8 a martedì 9 aprile, fa sapere il sindacato. Preoccupano anche i probabili scioperi che colpiranno la capitale a maggio durante le elezioni del Sindaco di Londra.