Prima di immergervi nella lettura dell’intervista a cui si è gentilmente reso disponibile Giorgio Poggio, Managing Director di BRIT CUSTOMS e Director di ICCIUK, facciamo un salto indietro e ricordiamone le origini e le evoluzioni delle Camere di Commercio Italiane all’Estero.
Le Camere di Commercio Italiane all’Estero (CCIE), sono nate in risposta ai fenomeni migratori degli Italiani
Le associazioni rappresentative italiane all’estero, come appunto le Camere di Commercio Italiane all’Estero (CCIE), sono nate in risposta ai fenomeni migratori degli Italiani che lasciarono (e continuano a lasciare) il loro paese d’origine, con le prime costituite alla fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, tra cui quella di Londra, fondata nel 1886. Le CCIE sono state fin dall’inizio un punto di riferimento per gli italiani emigrati, e il loro compito era quello di facilitare le relazioni interpersonali e commerciali, offrendo inoltre un legame con la comunità nazionale.
In passato, le motivazioni per la costituzione delle CCIE erano dunque anche sociali, mirate a creare comunità italiane parallele all’estero, attraverso la condivisione di tradizioni e valori. Oggi, invece, le CCIE sono anche orientate agli interessi economici e strategici, in linea con il “Realismo Capitalista” di Mark Fisher, che tratta tutto come un’azienda. Le CCIE, grazie alla loro natura bi-nazionale inoltre, sono soggetti internazionali unici riconosciuti dallo Stato italiano per la loro rilevanza pubblica e nel mondo hanno creato una rete di relazioni che promuove il Made in Italy attraverso collaborazioni internazionali.
A voi l’interessante e puntuale intervento di Giorgio Poggio.
Giorgio, grazie davvero per essere intervento. Cominciamo facendo un po’ di chiarezza: che cos’è la Camera di Commercio?
La Camera di Commercio è un ente privato che funge da tramite tra le aziende e/o imprenditori privati e le istituzioni pubbliche. Continuiamo ad offrire un accesso facilitato alle istituzioni, permettendo alle imprese di dialogare direttamente con loro per facilitare il business, in questo caso, nel Regno Unito.
Quali sono i vantaggi di far parte della Camera di Commercio?
Tra i principali vantaggi, far parte della Camera di Commercio facilita l’accesso diretto alle istituzioni e garantisce un networking positivo all’interno per i membri, permettendo un dialogo necessario per cercare di fare impresa.
Quali sono state le principali sfide affrontate dalle imprese italiane durante il Covid e la Brexit?
La Brexit ha introdotto complessità doganali significative, spesso non recepite adeguatamente dalle aziende. Molti operatori non avevano esperienza con mercati extraeuropei e hanno dovuto affrontare una situazione simile a esportare in Cina. Questo ha causato paure e incertezze, spingendo alcune aziende a ritirarsi dal mercato britannico, mentre altre hanno dovuto investire risorse per adattarsi.
Realizzati oltre 60 video accessibili a tutti per spiegare come gestire la Brexit
Come ha aiutato la Camera di Commercio le imprese italiane durante queste sfide?
Abbiamo fatto molto per supportare il sistema Italia, sia io a livello personale che attraverso la Camera di Commercio. Un’azione fondamentale e’ stata quella di realizzare grazie al supporto del mio media manager Pietro Galinta, oltre 60 video su YouTube per spiegare come gestire la Brexit.
Hai ricevuto dei feedback dalle aziende italiane riguardo i video di supporto che avete fatto?
Sì, ho ricevuto tantissimi feedback positivi, non solo da aziende, ma anche da colleghi e competitors che hanno apprezzato lo sforzo e l’utilità dei nostri video.
Prima della Brexit c’era molta paura…
Sì, il nuovo fa sempre paura, e la Brexit non ha fatto eccezione. C’erano incertezze sui prezzi, dazi, regole e controlli. All’inizio c’è stato un periodo di grazia per importatori ed esportatori, ma oggi le maglie si sono strette e la gestione delle operazioni doganali richiede competenza. L’Inghilterra è passata da pochissime operazioni doganali a 5,5 milioni l’anno, creando due principali problemi: la necessità di operatori doganali competenti e un sistema IT adeguato per gestire la mole di lavoro.
L’offerta di servizi doganali è stata aperta a tutti, creando una situazione in cui molti operatori improvvisati stanno causando problemi
Come ha risposto l’Inghilterra a queste sfide?
Non si potrebbe fare un corso più approfondito in collaborazione con le istituzioni inglesi?
È una buona idea, ma la questione è complessa. Il governo inglese, trovandosi a dover gestire un’enorme quantità di operazioni doganali, ha optato per un approccio “liberi tutti”. Mentre prima il mercato era consolidato con operatori credibili, oggi è lasciato al caso, causando potenziali problemi per gli importatori che si affidano a chi offre i prezzi più bassi. Prima o poi, la dogana inglese dovrà intervenire per regolamentare meglio il settore e assicurare che solo operatori qualificati possano svolgere questo lavoro.
Quali potrebbero essere le conseguenze di una regolamentazione insufficiente?
Quando la dogana inglese interverrá, ci saranno conseguenze negative per gli imprenditori. Gli operatori doganali improvvisati potrebbero aver causato problemi seri, e prima o poi, le autorità faranno i controlli a campione, con probabili sanzioni e responsabilità; anche penali per chi non ha gestito o ha fatto gestire le dichiarazioni doganali con competenza.
Ci sono stati dei settori specifici che hanno sofferto più degli altri post-Brexit e post-pandemia?
Sicuramente la ristorazione. In generale, io parto dall’idea che prima potevi venire con la carta d’identità e oggi devi avere il passaporto, e questo rappresenta un grande spartiacque. Tutti i ragazzi che negli anni passati venivano in Inghilterra a farsi la vacanza, ora devono spendere 180 euro per un passaporto. Quindi da giovanissimo devi decidere se spendere 180 euro più altri soldi per il soggiorno in Inghilterra, che comunque è cara, o andare altrove.
La Brexit ha raffreddato i rapporti del turismo nei confronti dell’Inghilterra
Capisco. Quindi, molti italiani che prima venivano in Inghilterra e mangiavano nei ristoranti italiani non ci sono più. Come ha influito questo sulla ristorazione italiana?
Esattamente. Tutti quei ristoranti italiani hanno perso una fetta di clienti. Inoltre, la Brexit ha raffreddato i rapporti del turismo nei confronti dell’Inghilterra. Solo recentemente si sta riaprendo, ma comunque una parte significativa dei turisti è sparita.
Parlando dell’Accademia Matooro, il progetto permette agli studenti italiani di venire a formarsi e lavorare in Inghilterra, è vero che c’è una carenza di servizio perché mancano gli italiani e in generale gli europei?
Assolutamente. Il servizio migliore è quello italiano, e la sua mancanza si nota nel customer service che sta diventando sempre piu’ scadente.
Il mercato inglese, nonostante la recessione, ha un potenziale immenso e una burocrazia snella
Pensando al futuro, quali sono le prospettive per le imprese italiane nel Regno Unito?
Il ruolo della Camera di Commercio Italiana è di favorire il progresso delle imprese italiane nel territorio, facendo da trade union tra l’impresa privata e le istituzioni italiane. Il mercato inglese, nonostante la recessione, ha un potenziale immenso e una burocrazia snella che favorisce la libera impresa.
Se dovessi dare un consiglio a giovani italiani che vogliono avviare un’attività qui, cosa diresti?
Consiglierei di iscriversi alla Camera di Commercio e fare network per imparare da chi ha già sbagliato. Avere un network è fondamentale per evitare errori e crescere.
Ci sono eventi di networking previsti per il prossimo futuro?
Sì, abbiamo una lista di eventi di networking immensa. Presto riapriremo le porte della Camera di Commercio nel centro di Londra per permettere ai soci di incontrarsi e far nascere nuove collaborazioni.
Giorgio mi ha salutata confermando un grande punto in comune: la necessita’ di fare ”sistema” tra italiani, lasciandoci alle spalle quella mentalità del ”io penso al mio, tu pensa al tuo”, e (re)includendo nella bigger picture la cultura. Noi ci siamo!