Dal cuore delle Alpi alla Silicon Valley: Liquid Factory finanzia il futuro

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Fabrizio Capobianco con Dino Sorrentino, Capo dell'ufficio economico dell'Ambasciata Italiana (credits Fabrizio Capobianco)
Fabrizio Capobianco con Dino Sorrentino, Capo dell'ufficio economico dell'Ambasciata Italiana (credits Fabrizio Capobianco)

Da una valle italiana alla Silicon Valley. Sogna in grande. Finanziamo il talento per cambiare il mondo. E’ il messaggio di benvenuto che theliquidfactory.com riserva a chiunque entri nel website, spinto dalla curiosità di capire molte cose.

Cos’è Liquid Factory?

Partendo dall’inizio: cos’è Liquid Factory? E’ una nuova start-up per talenti che vogliono scommettere su se stessi, partendo da un’idea profondamente innovativa. Che ha per scenario la Valtellina, in stretto collegamento con la Silicon Valley, in California. Perché tutto parta in Italia, si sposti dall’altra parte del mondo e poi ritorni, è necessaria una progettualità unica e brillante.

Fabrizio Capobianco è la mente che sta dietro il progetto Liquid Factory. Dopo una lunga esperienza di vita e di lavoro spesa in Silicon Valley, ha deciso di tornare in Valtellina e di far partire da qui tutti i suoi nuovi progetti per quei ragazzi che vogliono realizzarsi nel settore della tecnologia, ad un livello alto e competitivo.

Solo una mente che non dimentica cosa significhi essere giovani e ambiziosi riesce a prodursi in una progettualità così innovativa e generosa, al punto da attirare su di sé anche le attenzioni istituzionali. A inizio Ottobre infatti il progetto è stato presentato a Londra, presso l’Ambasciata d’Italia.

Fabrizio Capobianco presenta Liquid Factory a Londra

Abbiamo chiesto a Fabrizio Capobianco di raccontarci com’è andata, ma soprattutto di parlarci della sua ultima creazione. E anche un po’ di se stesso.

Un imprenditore seriale

Se dovessi presentarti a chi ancora non ti conosce, cosa diresti di te?

Io sono un imprenditore seriale, così mi chiamano negli Stati Uniti, nel senso che ho costruito tante aziende, ne ho create due in Italia e due negli USA e adesso sto lanciando una nuova iniziativa. Quindi tendenzialmente mi piace creare delle cose che non esistono, anche un po’ folli. Ho creato la prima azienda Internet in Italia, che si chiamava Internet Graffiti, quando nessuno sapeva cosa fosse Internet. Avevo 23 anni. Adesso stiamo lanciando Liquid Factory, che è una fabbrica di start-up, in una valle delle Alpi, per creare aziende globali e mandare i ragazzi in Silicon Valley, tenendo il resto dell’azienda in Italia. L’idea che abbiamo è quella di creare aziende liquide, cioè al cento per cento remote, in cui l’imprenditore o imprenditrice è in Silicon Valley (se sono liquidi possono andare dove vogliono) e il resto del team rimane in Italia, in Valtellina.

Non c’è più bisogno di sentirsi quasi in dovere di spostarsi fisicamente per lavorare all’estero, quindi?

Esatto. Io ho aperto due aziende in Italia, poi sono andato in Silicon Valley nel ’99 e ho trascorso lì ventitré anni. Prima ho creato un’azienda con capitali americani e cervelli in Italia, a Pavia, perché ho capito che gli ingegneri che avevo in Italia erano più bravi di quelli che avevo trovato in Silicon Valley. Gli ingegneri italiani, a mio avviso, non sono secondi a nessuno. Anche la successiva azienda l’ho creata raccogliendo capitale americano. Quella dopo ancora, che si chiama TOK.tv, che poi ho venduto quattro o cinque anni fa ad un’azienda americana, l’ho creata con quartier generale sempre in Silicon Valley, nel senso che io ero fisicamente lì, ma il resto dell’azienda era ‘disperso’ in giro per l’Italia. Perché ho imparato che l’ingegnere italiano, che è bravissimo, non ha tanta voglia di muoversi, è poco mobile. Quindi il nostro primo ingegnere era in Sicilia, il secondo in Sardegna, il terzo a Roma, il quarto a Milano, per cui l’idea di costruire un’azienda completamente distribuita e completamente liquida funziona benissimo perché non devi spostare la gente che può starsene a casa a lavorare. Chiaramente questa cosa funziona bene nel software, nelle aziende tecnologiche come le nostre. E funziona anche per me.

La generazione Z mette la qualità della vita al primo posto

Come si svolge la tua giornata-tipo, quindi?

Ho sempre lavorato da remoto con TOK.tv per sette anni, poi un’azienda della Silicon Valley, Minerva Networks, ci ha acquisito nel 2019 e due anni fa sono tornato in Italia. Lavoro alla mattina, poi alle 11 stacco, vado a sciare, alle 15 ricomincio. La qualità della mia vita è eccezionale e questa cosa secondo me è assolutamente ripetibile e vale anche per i Gen Z, che poi sono il nostro target. Quelli della generazione Z tendono a mettere la qualità della vita al primo posto, e il lavoro al secondo. Dar loro la possibilità di lavorare in mezzo alla natura, andare a camminare in montagna, fare climbing oppure andare a sciare d’inverno o andare al lago (perché noi siamo a mezz’ora dal lago di Como) è un vantaggio, a mio avviso, competitivo, non solo per i ragazzi italiani ma anche per quelli all’estero. Sono stato a Londra perché sono convinto che tanti nostri ragazzi sono andati fuori visto che in Italia non potevano fare niente, oppure venivano considerati dei folli. Questa invece è un’idea folle pensata anche per far rientrare quei ragazzi che hanno lasciato l’Italia perché qui non trovavano la possibilità di crescere.

Fabrizio Capobianco in Ambasciata a Londra
Fabrizio Capobianco in Ambasciata a Londra (credits Fabrizio Capobianco)

Come è previsto il coinvolgimento di questa tipologia di target nel progetto?

Noi stiamo costruendo una fabbrica in start-up facendo venire quattro ragazzi o ragazze all’anno e li aiutiamo a costruire delle realtà che possano cambiare il mondo. Mirando alla Silicon Valley, siamo costretti a creare tutti gli eventi e le start-up cui daremo vita nei prossimi cinque anni, con un intento: quello di diventare ‘grandi’. Non stiamo cercando quindi di creare piccole imprese, ma piuttosto aziende che possano scalare, come dicono gli americani. Che possano diventare effettivamente enormi, nel modello distribuito, in cui non c’è bisogno di essere tutti in un ufficio, va benissimo essere ognuno in un posto diverso, possibilmente bello. Questo è il grande vantaggio che abbiamo in Italia, dal post-Covid: se la qualità della vita va al primo posto, di posti belli come l’Italia ce ne sono pochi, al mondo. Riempiamo potenzialmente un centro di attrazione particolare per chi ama la montagna, la Valtellina, per chi vuole fare impresa globale ma vuol vivere in un posto bellissimo, dove si mangia benissimo, dove l’aria è buona e si è contatto con la natura.

Sono tornato perché la mia azienda mi lascia lavorare da remoto

Ed è stato questo il motivo che a un certo punto ti ha spinto a lasciare la Silicon Valley e a tornare in Italia?

Sono tornato non solo perché questi posti mi piacciono moltissimo e la qualità della vita è estremamente superiore a tutto il resto del mondo, ma anche perché posso. Io prima del Covid non potevo tornare in Valtellina perché non avevo la connessione a Internet. Adesso il 99 per cento delle case di Sondrio hanno la fibra. Quindi sono partito dalla Valtellina che avevo 18 anni perché qui non avevo niente da fare, occupandomi di software, e poi trent’anni dopo mi sono reso conto improvvisamente che qui posso vivere, posso lavorare, posso costruire delle aziende che lavorano con la Silicon Valley e quelli che erano i limiti della Valtellina, cioè che era un po’ lontana, che era un po’ isolata, diventano ora invece i punti di vantaggio, i punti positivi, perché rimane un’isola felice, da cui oggi, scrivendo software, schiaccio il tasto ‘invio’ e li distribuisco in tutto il mondo. Non ho problemi di dover usare i camion, avere un magazzino etc. Quindi si adatta moltissimo al futuro, che è un futuro di tecnologia, di intelligenza artificiale. Sono tornato perché ho potuto fare una cosa che invece dieci anni fa era impensabile. Sono tornato anche perché la mia azienda, quella per cui lavoro, mi lascia lavorare da remoto, cosa che una volta era assolutamente inimmaginabile, e oggi invece sta diventando una cosa possibile e stan pian pianino crescendo. Ho creato quattro aziende, l’ultima l’ho fatta liquida e aveva livelli di produttività molto più alti di tutte le altre che avevo creato prima. Aveva dipendenti molto più felici, gente che restava molto legata all’azienda quindi i risultati finali sono stati ottimi. Per cui se dovessi crearne un’altra, la farei così. Molto difficile prendere un’azienda esistente e trasformarla in un’azienda da remoto, perché una volta che sei partito in un modo, si fa fatica a cambiare. Poi tanti hanno sperimentato il lavoro da remoto durante il Covid, che era il caso peggiore possibile e immaginabile, perché erano a casa con il wi-fi che non funzionava, i bambini irrequieti, non potevano neanche uscire a mangiare o a bersi un caffè, erano isolati, quindi tanti hanno quell’idea di lavoro da remoto. Il mio lavoro da remoto è invece è un altro tipo di attività, in cui esco anche, magari per andare a pranzo in montagna con un amico.

Learn, earn, and give back

Come nasce quindi l’idea di Liquid Factory?

Liquid Factory è una start-up factory finanziata con quattro milioni di euro da Banca Popolare di Sondrio, che è una banca locale, territoriale, con vocazione internazionale, gestita da banchieri illuminati che hanno capito che il futuro è la tecnologia e che il futuro è anche la capacità di portare in un posto come la Valtellina cervelli, talenti da tutto il mondo, per creare il futuro delle aziende, e quindi poi alla fine creare anche lavoro e business locali. E’ un’iniziativa che ha dentro dodici partners (io sono uno dei dodici), tutta gente che è andata in Silicon Valley, che lavora con la Silicon Valley: tre vivono ancora lì, sono ‘remoti’ o lavorano per aziende liquide. E’ un gruppo di persone che ha deciso quello che ho deciso io, ero in Silicon Valley e lì mi hanno insegnato un paio di cose: una è che quando arrivi a un certo punto della vita devi fare il giveback, devi restituire quello che imparato. A dir la verità per i primi venticinque anni della tua vita: learn, cioè impara. I venticinque anni dopo: earn, cioè guadagna. I venticinque anni dopo ancora: giveback. Quindi è arrivato il momento di ridare indietro a chi ti ha dato. Questa è la prima cosa che ho imparato, quindi sono tornato in Valtellina per ridare al mio Paese e alla mia valle quello che ho imparato, e una delle cose che ho imparato è quella di pensare in grande. Perché qui in Italia tendiamo ad aver paura: del fallimento, di rischiare. Invece vogliamo portare, in Valtellina e in Italia, quest’idea un po’ folle della Silicon Valley che fallire fa parte del gioco, sennò non si rischia. Se tu non rischi, non fallisci. Ma se non vuoi fallire non ti puoi permettere di rischiare. Noi sappiamo che delle venti aziende che creeremo, quindici moriranno. Fa parte del gioco. Ma di quelle cinque che resteranno, magari a quattro ritorneranno un po’ dei soldi che avremo dato, perché noi diamo 200mila euro per start-up, e una probabilmente farà il botto. E quella che farà il botto ci darà indietro tutti i soldi che abbiamo investito su tutte le aziende. Però fallire fa parte del gioco, ma in Italia questo è un concetto che non è ancora passato, il che limita un po’ la crescita del Paese sul fronte dell’innovazione.

Fabrizio Capobianco in Ambasciata a Londra (credits Fabrizio Capobianco)
Fabrizio Capobianco in Ambasciata a Londra (credits Fabrizio Capobianco)

L’application per Liquid Factory entro il 31 Ottobre

Come sta procedendo il reclutamento dei talenti partito a settembre?

E’ partito il 16 Settembre e cerchiamo questi talenti attraverso la nostra pagina web, theliquidfactory.com, in cui c’è un form per fare l’application. L’application va fatta entro il 31 Ottobre: i primi quattro, a partire da Gennaio verranno qui in Valtellina dove si fermeranno tre, sei, nove mesi, quanto tempo ci servirà per mandarli poi in Silicon Valley. Poi l’anno prossimo faremo un altro bando con scadenza a fine Giugno, per prendere i prossimi quattro, e andremo avanti così per quattro o cinque anni.

Portare un pizzico di Silicon Valley in Italia

Mercoledì 2 Ottobre sei andato a Londra a presentare questo progetto presso l’Ambasciata Italiana in UK. Com’è andata?

Mi hanno invitato a raccontare questa storia, la sala era piena quindi l’interesse secondo me era molto forte perché alcuni erano italiani che vivono là, ma c’erano anche dei ragazzi parecchio interessati. Per l’Italia conta il fatto di poter dire “guardate che abbiamo un’eccellenza europea” perché di start-up factory per costruire aziende che diventano globali e vanno in Silicon Valley non ce n’è in giro tante, anzi penso che non ce ne sia in giro nessuna. Quindi l’idea di andare a raccontare questa cosa a gente che magari dall’Italia se n’è andata perché in Italia non li capiva nessuno e non aveva alcuna possibilità di fare qualcosa di significativo, che avesse un impatto, significa dire “guardate che adesso c’è qualcosa di interessante, di significativo. Se siete giovani non dovete per forza rimanere a Londra. Potete anche pensare di venire qualche mese in Valtellina, in un posto bellissimo, e poi vi mandiamo in Silicon Valley”. Questo era un po’ il messaggio, quindi la presentazione secondo me è andata molto bene, l’interesse mi è sembrato molto alto. E’ un’idea un po’ folle, ha questa caratteristica, quando la gente la sente pensa ‘che strano’, però stiamo cercando veramente di portare un pizzico di Silicon Valley in Italia, e cerchiamo di fare le cose come si fanno là, con i tempi rapidi, con la trasparenza, cercando anche di cambiare la mentalità su come si crea business. In Italia, se tu hai vent’anni devi aspettare, inutile che parli; quando arrivi a quaranta-cinquant’anni puoi dire la tua. In Silicon Valley se ne hai quaranta o cinquanta non hai niente da aggiungere perché sei anziano; se ne hai venti porti una prospettiva nuova e diversa, quindi ti ascoltano. Noi vorremmo cercare di ascoltare i ragazzi giovani che hanno l’energia, la voglia di cambiare il mondo, e dar loro le risorse per farcela. Proviamo a cambiare perché si può, magari una volta non si poteva fare perché non c’era l’intelligenza artificiale, non c’era la tecnologia; oggi con le tecnologie che abbiamo a disposizione si possono fare tante cose che una volta erano impossibili.

E per concludere, un messaggio propositivo e ottimistico: si può fare. Come dice Capobianco “improvvisamente non c’è più bisogno di andare per forza all’estero, si possono fare cose innovative anche in Italia. E comunque la gente che viene qui poi la rimandiamo all’estero, non siamo quelli che dicono ‘tornate perché qua è tutto bello’. Ci è chiarissimo come funziona il mondo: noi vogliamo che i ragazzi da qui se ne vadano all’estero a imparare e poi, nel caso, tornino. C’è una frase che dice il Dalai Lama, con cui io chiudo di solito le presentazioni, che dice ‘Ai vostri ragazzi dovete dare le ali per volare via, ma anche le radici per tornare, e quando tornano dovete dar loro dei motivi per restare’. Le ali, ai ragazzi, bisogna darle, le radici ce le abbiamo, e stiamo cercando di dare la possibilità a chi se ne va di rientrare perché da qui si può davvero avere un impatto a livello globale.

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