Il ritorno di CinemaItaliaUK al Regent Street Cinema, con Gianluca Chiaretti e il film ”io, Capitano”

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Illustrazione di Simona De Leo
Illustrazione di Simona De Leo

Il ritorno di CinemaitaliaUK al Regent Street Cinema ha regalato ai londoners (chi d’origine, e chi come la sottoscritta, d’adozione) una serata davvero significativa, densa di emozioni, ed estremamente interessante anche per coloro che, pur non essendo addetti ai lavori nell’ambito cinematografico, erano curiosi di sapere come film ”difficili” sotto diversi punti di vista vengano realizzati dietro le quinte. O meglio, dietro la camera.

”Il line producer deve occuparsi della parte più realistica e pragmatica dell’organizzazione di un  film. Non è un lavoro troppo creativo, ma riguarda soprattutto l’organizzazione dello staff, delle locations,  del budget. Colui insomma che di solito gestisce i soldi, i quali, ovviamente non sono mai abbastanza. Normalmente, se chiedi 10 milioni per finanziare un film, ne ottieni otto.”

Così Gianluca Chiaretti, ospite di CinemaItaliaUk, ha spiegato il suo ruolo da line manager per il film di Matteo Garrone, ”io, Capitano” e ha poi approfondito dopo la proiezione (sold out) nella sessione del Q&A.

”Il film che state per vedere e’ molto poetico, commovente. Intenso. Non vi dico altro, ve ne accorgerete da soli’’.

Gianluca Chiaretti con CinemaItaliaUk al Regent Street Cinema
Gianluca Chiaretti con CinemaItaliaUk al Regent Street Cinema

Il commento molto puntuale di Clara Galeo Green, direttrice di CinemaItaliauk comincia da un aggettivo molto calzante, ”poetico’’. Dove puo’ essere mai la poesia – qualcuno si chiedera’ – nel raccontare un viaggio di due ragazzini esposti a qualsiasi atrocita’: dalle torture, alla schiavitu’, alle sevizie sia fisiche che psicologiche? Partiamo dall’assunto che Garrone, sebbene si sia ispirato a dei fatti realmente accaduti, non ha mai voluto realizzare un documentario. Il film io, Capitano e’ come un alveare al cui interno coabitano storie che appartengono all’umanita’ intera.

La poetica di Garrone viene visceralmente trasportata su schermo dai due giovani protagonisti, Seydou Sarr e Mustapha Fall

La poetica di Garrone viene visceralmente trasportata su schermo dai due giovani protagonisti, Seydou Sarr e Mustapha Fall. I loro corpi che mutano, i loro gesti, e le conseguenze del loro (non)scegliere mostrano, frame by frame, lo sviluppo della storia che non ha bisogno di un vero e proprio script. Seydou e Moussa vogliono essere famosi, esplorare il mondo, diventare uomini mantenendo autentica la loro condizione di figli. Lo vediamo con Seydou e le ”madri” a cui rimane devoto, a cui rivolge sempre un pensiero, che salva dal mare, o che, con un peso in mezzo al petto, lascia andare.

Clara Caleo Green presenta io, Capitano
Clara Caleo Green presenta io, Capitano

Tra l’acqua attraverso cui si propaga l’urlo di liberazione del capitano e la sabbia del deserto che ne assorbe il disperato pianto, stiamo un po’ tutti noi, testimoni di un viaggio in bilico tra la vita e la morte.

Fondamentalmente, è stato come girare tre film

Io capitano e’ il classico road movie in cui si devono affrontare molte location, dalle città al deserto al mare. Come è andata? Perché uno dei compiti del line producer è anche la ricerca delle location. Come è stato questo processo?

Fondamentalmente, è stato come girare tre film. Abbiamo infatti dovuto dividere la ricerca in parti. Una in Senegal per il villaggio dei protagonisti, una in Marocco per le scene nel deserto e un’altra in Sicilia. 

Un’altra interessante sfida è che la logistica per le riprese in Senegal e quella in Marocco sono molto diverse tra loro e con il modo di girare di Matteo. Lui infatti e’ un regista che lavora secondo il suo programma, certo, ma premia anche molto l’onestà dei sentimenti del momento. Se un giorno decide che anche se ci si e’ organizzati per girare una scena in una location specifica, poi vuole cambiarla, non c’è via di fuga. Devi seguire sua direzione. Per lui sarebbe difficile girare un  film negli Stati Uniti, dove tutto è pianificato minuto per minuto.

Questo si è riflettuto anche nella sceneggiatura del film, che fondamentalmente non esiste. Matteo Garrone ha girato il film in ordine cronologico. Quindi ha iniziato  con i ragazzi in Senegal e poi ha seguito il processo di crescita, filmando letteralmente le sequenze nel modo in cui si vedono nel film.

Gianluca Chiaretti e Lorenzo Tamburini al Q&A di io, Capitano
Gianluca Chiaretti e Lorenzo Tamburini al Q&A di io, Capitano

Il film si basa su esperienze vere, che si sono in qualche modo amplificate e sovra estese attraverso il sentire dei due giovani attori

Nella sceneggiatura poi c’era veramente pochissimo dialogo, e nonostante Matteo non abbia mai voluto girare un documentario, il film si basa su esperienze vere, che si sono in qualche modo amplificate e sovra estese attraverso il sentire dei due giovani attori. Pur non parlando la stessa lingua, Matteo era perfettamente in grado di capire se i due ragazzi fossero nel personaggio oppure no.

Tra l’altro loro non sono attori professionisti. Com’è stato lavorare con un cast composto principalmente da persone non professioniste di un altro paese?

Inizialmente i due attori erano stati scelti per interpretare uno il ruolo che effettivamente interpreta l’altro nel film. Poi, osservandoli, dirigendoli, ascoltandoli Matteo ha deciso di scambiarli ed e’ stata una scelta azzeccata per tutti.

Una delle principali sfide sul set di io, Capitano è stata decisamente la scena con la barca

Come line producer, quali pensi siano le sfide più difficili che devi affrontare in tutto il processo e i vari steps che la produzione di questo film ha coinvolto?

Una delle principali sfide sul set di io, Capitano è stata decisamente la scena con la barca, perché teoricamente avrebbe potuto ospitare solo dodici persone. Poi, dopo varie rassicurazioni e compromessi, abbiamo raggiunto un accordo con la guardia costiera e siamo arrivati a 70 persone. La verita’ e’ che quando stavamo girando, sulla barca ce ne erano molte di più. Fintanto che le riprese erano di giorno, stavamo tranquilli. Mi terrorizzavano però le riprese di notte, perche’ se qualcuno fosse caduto in mare non v’era certezza che ce ne accorgessimo.

Quindi c’era sempre questo elemento di tensione nel concentrarsi che tutto fosse a posto e che tutti fossero al sicuro. Mi ricordo che un giorno uno dell’equipaggio della guardia costiera mi ha chiamato e indicando la barca mi ha chiesto ”La vede, signor Chiaretti?’’

E io ho risposto “No, cosa dovrei  vedere?”

”Quella che dovrebbe vedere e’ la linea di galleggiamento ma ovviamente non riesce perche’ e’ sott’acqua’’. Avere la guardia guardia costiera li mi ha tranquillizzato ma davvero dovevamo essere costantemente vigili.

Volevo chiedere dell’apporto dell’organizzazione internazionale al film, come sei riuscito a coinvolgere le altre case di produzione e come hanno reagito alla storia raccontata, paesi come la Francia e il Belgio?

L’investimento richiesto per fare il film era così grande che è stata necessaria una partnership più ampia che andasse al di fuori del cinema italiano. Tuttavia, è stato abbastanza facile perché Matteo Garrone aveva già lavorato con il cinema francese in precedenza. Con il Belgio invece era la prima volta.

Finito la sessione di Q&A ho proseguito l’intervista con Gianluca Chiaretti.

A proposito del rapporto tra me e Matteo, ti racconto un aneddoto: anni fa, ho avuto l’opportunità di lavorare con Bellocchio. Un giorno pero’ mi chiamo’ Domenico Procacci di Fandango dicendomi se avessi voluto lavorare con il regista Matteo Garrone. Mi piacque il suo progetto e accettai. Ovviamente dovetti dire a Bellocchio del mio nuovo impegno, e feci, come da dovere, tutto il possibile per fare il passaggio di consegna. Ebbene, all’inizio sembrava che Bellocchio l’avesse presa bene e invece…Invece mi disse testuali parole ”Logicamente Gianluca tu non lavorerai mai piu’ con me’’. E cosi ecco come ho iniziato il rapporto con Garrone e distrutto quello con Bellocchio!

Illustrazione di Simona De Leo
Illustrazione di Simona De Leo

Nella scena della barca invece tante c’erano davvero persone che quel viaggio lo avevano provato sulla loro pelle

Sono curiosa di sapere la reazione dei due protagonisti alla prima visione del film. 

Eravamo tutti molto emozionati. Ti dico anche che mentre la scena della tortura e’ sicuramente molto intensa da vedere, quando l’abbiamo girata era ovviamente tutto costruito. Nella scena della barca invece c’erano persone che quel viaggio lo avevano provato sulla loro pelle. C’era una vera connessione con le loro vite. Alcuni momenti poi ci hanno commosso molto, come la scena della donna che partorisce.

La scelta di Matteo di raccontare questa storia è molto interessante. I ragazzi che lasciano il Senegal hanno una famiglia amorevole alle spalle, un tetto (seppur mezzo rotto) sulla testa, e come tanti ragazzi sognano di diventare famosi. Mi racconti meglio di questa idea e come l’avete lavorata insieme?

Quando lavori su un progetto del genere, ti informi su tutto. Ci sono vari tipi di immigrazione, tra cui quella per cause economiche, quelle per guerre civili e quelle per motivi politici. Per quanto riguarda il mio lavoro da produttore in Italia, per un film del genere ero ben conscio che ci sarebbero voluti accortezza, impegno, e un certo budget.  Non è più come una volta, quando era il produttore a mettere i soldi. In parte è più semplice, ma in parte è più complesso perché ci sono molte persone coinvolte nei film. Anche se è stato un po’ difficile, alla fine ce l’abbiamo fatta. Anche il successo al Festival di Venezia ha aiutato. 

io, Capitano non l’ha gridato in Africa, ma sulle nostre terre

Sarebbe stato interessante approfondire il ruolo dell’Europa, e dell’Italia sulla questione.

L’ultima scena del film, ispirata da una storia vera, è stata importante. Matteo non ha raccontato una storia immaginaria, ma ha affrontato una realtà che viviamo ogni giorno. Anzi, il ragazzo che l’ha vissuta personalmente e’ uno degli sceneggiatori.

io, Capitano non l’ha gridato in Africa, ma sulle nostre terre. Quando vediamo il telegiornale e ci informano che ci sono altri cento morti non registrati, non puoi rimanere indifferente. Matteo, rispetto a molti altri registi, non si mette al servizio delle situazioni che mostra nei suoi film. Non giudica, ma semplicemente racconta storie. Ad esempio, la serie “Gomorra” non esalta la camorra. Matteo racconta le storie in modo che ti facciano riflettere. Tutti i suoi film, i suoi personaggi, provengono dai racconti che lui elabora e che lasciano fare a te le tue valutazioni. In generale, e’ normale affezionarsi a un film che realizzi, ma fare un film come questo è qualcosa di particolare. Diventa parte di te.

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