Intraprendente, solare, perspicace, determinata: è Giulia Asquino, nata a Roma, attrice, cantante e ballerina, che sta per debuttare a Londra con la piece teatrale ‘Love, Edith’ – The Secret Correspondence. Un omaggio a Edith Piaf, personaggio che ha influito sulla vita e l’arte di Giulia in un modo unico e molto personale.
Sul palco, Giulia è da sola ma non è sola: in un momento di sconforto e poca fiducia in sé stessa, Edith le viene in soccorso per aiutarla a superare gli ostacoli
Un one woman show tutto recitato in inglese, che Giulia firma con Delia Morea, regista e scrittrice, e Chiara Spampinato, responsabile di produzione. Completano la crew la scenografa e costumista Elena Cantangiu e il lighting and sound designer Steven Cox.
Sul palco, Giulia è da sola ma non è sola: in un momento di sconforto e poca fiducia in sé stessa, Edith le viene in soccorso raccontandole dei momenti decisivi della sua vita e della sua carriera, per aiutarla a superare gli ostacoli del cuore e dell’anima. “Usa i tuoi errori, usa i tuoi difetti e diventerai una star” è il messaggio che Edith rivolge a Giulia.
Al Golden Goose Theatre di Londra, dal 30 Aprile al 4 Maggio.
Abbiamo incontrato la protagonista per conoscere meglio lei e il suo progetto teatrale.
Chi è Giulia Asquino?
Nasco come ballerina classica, ma non provengo da una famiglia di artisti… Ricordo che da bambina ballavo in casa con la radio in sottofondo e anche a mia nonna, la mamma di mia madre, piaceva molto la musica. Ballava per casa, canticchiava… Chiesi a mia mamma di poter fare lezioni di danza, avevo più o meno cinque anni. Qualche anno dopo sono entrata al Balletto di Roma, mi sono diplomata lì. Il canto è arrivato per caso, c’era la mamma di una mia amichetta di danza che mi ascoltava cantare in macchina e disse a mia madre che era andata all’Auditorium di Santa Cecilia per uno spettacolo di musica classica e aveva scoperto che facevano le audizioni per i bambini, per il coro delle voci bianche, quindi le propose di portarmici. Mia madre disse ‘perché no’ e io ricordo che andai lì col mio bellissimo giacchetto rosso delle Winx di cui ero veramente fiera (ride).
L’arte parla di umanità e vita, e desideravo scoprire di più su discipline come la filosofia
Ero terrorizzata, avevo all’incirca otto anni, poca autostima, e in più portavo un pezzo di Laura Pausini. Avevo così tanta paura… ricordo questa sala delle audizioni piena di strumenti bellissimi, tutta arredata in legno… e poi l’Auditorium della Conciliazione è qualcosa di spettacolare… la ragazza che si occupava di portare dentro i bambini mi vide così agitata e mi propose di entrare prima con lei e assistere al provino di un’altra bambina per cercare di tranquillizzarmi e mostrarmi che cosa succedeva all’interno, perché poi era quell’ignoto che in realtà mi spaventava. E così facemmo… Poi toccava a me… Feci il provino con una sorta di incoscienza mista all’innocenza dell’età… Mi presero, entrai in Conservatorio. Quindi ci fu un periodo in cui studiavo sia danza che canto. Di lì a poco dovetti però scegliere che cosa fare, più che altro perché iniziavo ad andare alle medie e anche la danza diventata più impegnativa: fino ai dieci anni avevo fatto solo danza classica, poi ho iniziato a fare sia classica che contemporanea, il che significava più giorni, più ore, e tutto diventava un po’ più impegnativo. Scelsi comunque la danza, lasciai il canto per un periodo. Poi verso i tredici anni ho frequentato per un po’ una scuola di canto vicino casa. Infine sono entrata al Balletto di Roma, quindi danza al cento per cento tutti i giorni. Allo stesso tempo avevo scelto di frequentare il liceo classico, per avere una cultura generale che legasse bene con il mondo dell’arte. L’arte parla di umanità e vita, e desideravo scoprire di più su discipline come la filosofia.
Poi da Roma sei partita per gli Stati Uniti. Come è successo?
Ho fatto un’audizione a Milano con un’amica che era con me al Balletto di Roma per una compagnia di balletto di New York. Lei mi chiese di accompagnarla, non voleva andarci da sola. Presero me e non lei. Nel frattempo avevo iniziato il mio ultimo anno di liceo e volevo concluderlo, ma avevo la possibilità di stare in America una settimana, nel gennaio 2018, dopo le Feste, per un festival di danza, in modo da cominciare anche a lavorare un po’ insieme a loro. Quindi ci sono andata, sono partita con i miei. E’ stata la nostra prima volta in America.
Sei nata nel 1998 e nonostante la tua giovane età hai una vita professionale già considerevole.
Sì, devo dire che nonostante il fatto che non abbia sempre avuto tutti dalla mia parte, a parte mia madre che mi ha sempre supportata in tutto, sono sempre stata molto determinata e decisa nell’attivarmi per realizzare il mio obiettivo.
Da quanto tempo sei a Londra?
Sono stabile a Londra da poco più di un anno, perché in realtà, dopo quella famosa settimana a New York in cui ho capito che forse la danza non era esattamente quello che avrei voluto fare, camminando in una strada della città mi sono imbattuta nella pubblicità di uno studio di recitazione (Susan Batson Studio). Mia madre mi spronò a provarci, la recitazione in realtà è sempre stata dentro di me, anche nel balletto avevo sempre le parti principali, quindi in realtà è sempre stata qualcosa che mi ha molto appassionato. All’epoca l’inglese lo capivo ma non lo parlavo proprio benissimo. E questa cosa mi terrorizzava. Ma è stato anche il momento in cui ho iniziato a studiare recitazione in quella scuola a New York grazie ad una borsa di studio.
A Roma, per quanto io ami la mia città con tutto il cuore, per quel che volevo fare non ci volevo restare
Ero poi tornata a Roma per il mio compleanno a Marzo 2020 ed ero rimasta bloccata, non solo per la pandemia ma anche per la Brexit. Approfittando del fatto di avere parenti nati in UK e non essendo sicura di poter tornare subito negli Stati Uniti, ho pensato di organizzarmi per venire almeno a Londra. A Roma, per quanto io ami la mia città con tutto il cuore, per quel che volevo fare non ci volevo restare. Quindi decisi di venire a Londra. Poi a Maggio, non appena ci fu di nuovo la possibilità di spostarsi, mi trasferii a Londra e ci restai quasi un anno, finché a Marzo 2021, mentre ero banalmente su Instagram, trovai un’accademia a Los Angeles, la scuola di Stella Adler, che faceva in quel periodo audizioni solo in Inghilterra, in Canada, in America e in Australia.
Ci ho provato, ho fatto cinque audizioni e sono passata. Quindi a Maggio 2021 sono partita per Los Angeles. E’ stata una delle esperienze più belle che io abbia mai fatto. Poi lì ho finalmente trovato l’amore, quindi la mia permanenza ha assunto tutto un altro significato (e ad oggi stiamo ancora insieme). Quella città per me è stata una scoperta sotto tanti punti di vista, perché anche attraverso di lui ho scoperto tante cose di me stessa.
A volte ci vuole anche tanto coraggio per lavorare su se stessi a livello interpretativo
Parliamo della piece. Perché proprio Edith Piaf? Nonostante tu sia giovane è un personaggio che ha avuto una certa influenza su di te?
Assolutamente. In realtà è nato tutto quando ho iniziato a studiare a New York, perché gli esercizi della tecnica di Susan Batson sono sei esercizi che tu esegui sul palcoscenico da sola, e tutti e sei ti aiutano ad entrare in contatto con te stesso; alla fine poi devi rifarli con un personaggio. E il personaggio non lo scegli tu ma lo sceglie Susan Batson stessa, che nel frattempo ti ha seguita in ciascuno di questi sei esercizi. Quindi in base a ciò che lei vede di te, alla tua personalità, a come stai sul palco, al tuo modo di andare in profondità dentro te stesso. A volte ci vuole anche tanto coraggio per lavorare su se stessi a livello interpretativo. L’ultimo di questi esercizi consiste nel trovare qualcosa che ti butta completamente giù, ma poi tu trovi la tua forza interiore attraverso l’animale che ti contraddistingue, perché fondamentalmente ognuno di noi ha la sua forza animalesca, che l’aiuta poi ad attraversare qualsiasi cosa nella vita. Alla fine di questo esercizio lei ti dice qual è la persona su cui andare a lavorare. A me ha detto “Sarai Edith Piaf perché ho visto in te la sua stessa forza, il suo stesso carattere”. Da quel giorno mi sono documentata, ho fatto ricerche, ho letto libri. Ma restando poi bloccata a Roma per via del Covid non ho avuto la possibilità di mettere prima in scena lo spettacolo su Edith, che sarebbe stato l’apice di tutto questo discorso. Da allora Edith è sempre rimasta con me ed è incredibile quanto ciò che Susan mi disse, poi l’ho visto nel tempo mentre conoscevo Edith sempre di più.
Non volevo che fosse l’ennesima biografia della Piaf. Ecco perché il testo parlerà della relazione tra me ed Edith
L’anno scorso ho pensato che era giunto il momento di scrivere qualcosa. Quindi ho buttato giù un’idea e alla mia amica Delia (Morea, n.d.r.), che ho conosciuto proprio a New York, ho chiesto qualche consiglio. Lei ha proposto di lavorare insieme sul testo, per dare un messaggio diverso dal solito, perché non volevo che fosse l’ennesima biografia della Piaf. Ecco perché il testo parlerà della relazione tra me ed Edith Piaf. Lei è sempre stata vista come una donna malinconica, un po’ dark, ma ciò che abbiamo voluto mettere in evidenza è proprio la gioia di vivere, lei cantava l’amore. Questa storia è una “dramedy”, in cui vogliamo evidenziare entrambi i lati della sua personalità.
Dopo il debutto a Londra, quali saranno le date successive della piece?
In questo momento sono in contatto con due teatri di Roma. Vorrei portare la piece in tour sia in italiano che in inglese, soprattutto perché ci sono personalità del settore industriale che mi hanno detto che purtroppo non potranno essere a Londra, ma verrebbero volentieri a Roma. E stiamo pensando anche a Milano.
Spero con questo spettacolo di donare un po’ di speranza, è questo il senso dello show, fondamentalmente Edith viene in soccorso a me nello spettacolo, a una Giulia in crisi, ma spero possa essere di sollievo per tutti quanti. Non viviamo un momento tranquillo, specialmente noi giovani.
Il messaggio finale di Giulia è colmo d’affetto per i suoi compagni d’avventura.
Vorrei ringraziare tutto il team con cui sto lavorando, non solo Chiara e Delia che mi hanno supportata fin dall’inizio, e vederle così entusiaste di tutto mi ha dato tanta forza, ma anche Elena e Steven, che fin da subito hanno mostrato entusiasmo per questo progetto. Il team fa tanto, è un’altra cosa che ho imparato. Quando inizi un progetto tutto da sola poi devi sempre scegliere quelle persone a cui, quando glielo presenti, si illuminano gli occhi così come si illuminano i tuoi quando ne parli.