Londra, City in crisi: la Brexit dimentica i servizi finanziari

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Brexit senza regole per il settore finanziario, operatori e capitali in fuga da Londra. E l’Europa tarda a riconoscere l’equivalenza delle normative..

La Brexit trascura il settore finanziario e non tratta le nuove misure per i rapporti UK-UE in ambito finanza. La City londinese che godeva di un passaporto finanziario europeo ha perso il privilegio di libero accesso al Mercato UE. Si fa sentire quindi il problema legato al principio diequivalenza’ che rendeva possibile lo scambio di servizi finanziari. L’UE non lo concede, temporeggia, perché attrae a sé e via da Londra il dinamismo che le manca. Londra, in crisi, perde posti di lavoro, e vede andar via i suoi vecchi inquilini, squali della finanza.

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Gli accordi Brexit dimenticano i servizi finanziari e l’Ue non concede l’equivalenza

Regno Unito, a causa della Brexit il futuro dell’economia è nelle mani dei politici. A un mese dall’uscita del Regno dall’Unione, la City di Londra è infuriata contro il premier britannico Boris Johnson, che negli accordi Brexit sembra aver negligentemente sorvolato sulla questione “finanza”. E lo stesso Johnson si rivela insoddisfatto delle decisioni prese, o meglio non prese, sul futuro dei servizi finanziari:

“Probabilmente, l’accordo di 1.200 pagine, non va nella direzione che avremmo voluto, sui servizi finanziari”.

come ha ammesso di recente il premier britannico in una intervista al Sunday Telegraph.

Ebbene, “probabilmente”, almeno su questo Johnson ci azzecca, perché è infatti in difficoltà proprio il settore finanziario, quel mondo dei traders e dei brokers e delle società di investimento che ininterrottamente dagli anni ’80 scambiano titoli e negoziano azioni in una City fremente che non dorme e non lascia dormire mai.

Ora, il panorama dell’ex centro finanziario europeo, meta preferita dalle grandi banche d’oltre-oceano, e che contribuisce per un buon 7 per cento al PIL del Regno, è cambiato e arranca di fronte all’assenza di misure per la regolamentazione dei nuovi rapporti UK-UE.

Si sta lavorando quindi a un nuovo documento, un ‘Memorandum of Understanding’, che metta d’accordo le due parti e che dovrebbe essere pronto entro marzo.

La spinosa questione del “principio di equivalenza”

Il punto spinoso è la questione legata al principio di “equivalenza”; e cioè il riconoscimento delle regolamentazioni inglesi per i servizi finanziari come equivalenti a quelle europee. L’equivalenza delle regolamentazioni permetterebbe a banche, compagnie assicurative, fondi speculativi, e a tutte le altre istituzioni del mondo finanziario, di operare nel Mercato finanziario europeo.

Fino al 31 gennaio questo libero scambio di servizi finanziari avveniva tramite “passporting”, reso possibile perché tutti i membri dell’UE sono dotati di un passaporto europeo per l’accesso al Mercato comune e alla Borsa valori europea.

Il Regno Unito, lasciandosi alle spalle il titolo di Stato Membro dell’Unione, si è visto sottratto anche del privilegio dato dal “passporting”, con la evidente necessità di farsi riconoscere le proprie regolamentazioni se vuole continuare a operare nel Mercato finanziario del blocco UE.

Pessima notizia, quindi, quando all’indomani della Brexit, solo due sono state le aree del settore finanziario che hanno ottenuto, e solo temporaneamente, la così tanto vitale “equivalenza”; vitale, si intende, per il centro finanziario londinese che regge sulle sue spalle non solo gli interessi della City, ma dell’intero paese britannico.

Le due aree “fortunate” con equivalenza garantita sono l’area per la compensazione di prodotti derivati con tempo limitato a 18 mesi, e quella relativa al sistema per la regolamentazione dei titoli irlandesi con tempo limitato a 6 mesi.

Equivalenza: carta jolly per l’Unione, per Londra rimane limitata e temporanea

Si capisce che è una magra consolazione data la possibilità che l’UE si è riservata di poter ritirare l’equivalenza concessa ai due settori con un preavviso di soli 30 giorni. Chiaramente il passaporto temporaneo concesso può essere utilizzato come arma politica, e non sarebbe neanche la prima volta che l’Unione faccia uso di questo strumento. Infatti, già nel 2019 l’Unione aveva sospeso l’equivalenza borsistica concessa alla Svizzera, togliendo a Zurigo la possibilità di trattare titoli europei sulla sua Borsa e viceversa.

Eppure, il Regno Unito, forse sperando in una reciprocità che non è poi arrivata, a novembre aveva già garantito all’Unione l’equivalenza per molti dei servizi finanziari europei.

Dal canto suo, la Commissione Europea pensa per sé e non si spinge oltre. Invece, mette in stand-by il processo di concessioni di “equivalenza” per le altre 28 restanti aree del settore finanziario.

E così per ora il Regno Unito rimane in bilico sul filo del rasoio con sole due aree in salvo nella base con denominazione “equivalenza”.  Sgomento se si pensa che l’Australia è riuscita a portarsene in salvo 17, di aree finanziarie, nei suoi accordi di scambio con l’Unione.

La questione “divergenza”

Il motivo è la mancanza di chiarezza, ed evidentemente anche di fiducia, tra Unione e Regno. Uno dei punti più insidiosi è la competizione “sleale” temuta dall’UE da parte della rivale britannica, ora sciolta dai vincoli europei.

E soprattutto perché il Regno Unito si è già espresso riguardo a un processo di ‘snellimento’ delle regolamentazioni per ottimizzare gli sforzi finanziari volto all’incremento dei profitti.

È anche partita la revisione delle “Listing Rules”, una serie di regole previste per le società quotate sulla Borsa inglese e supervisionate dalla FCA, Financial Conduct Authority, per semplificare la compravendita di azioni. Competizione definita sleale, perché lo snellimento porterebbe a una divergenza dalle più rigide regole europee, e qualora l’Europa concedesse l’equivalenza al settore finanziario inglese, questo potrebbe rappresentare una concorrenza scorretta, perché gioca non solo su piattaforma europea, ma anche con regole di gioco più semplici e differenti.

Europa, Machiavelli della finanza: “Ognun per sè”. E c’è chi preferisce la divergenza all’equivalenza

D’altra parte, in finanza quasi tutto è lecito, e lo diventa ancor più se si pensa, un po’ alla Machiavelli, agli interessi della propria parte, e non tanto poi a quelli della controparte.

Sembra infatti che se da un lato il Regno Unito stia cercando di avere la moglie ubriaca e le botti piene, con deregolamentazioni da un lato ed equivalenza dall’altro, anche l’UE pensa ai suoi interessi.

Pare infatti che non solo voglia dettare gli standard da rispettare nel caso di concessione di equivalenza ai servizi finanziari britannici, ma anche che non abbia fretta nel garantirla.

L’Unione anzi temporeggia, perché nel frattempo i “big” della finanza si stanno spostando dalla City londinese alle città europee di Parigi, Francoforte e Amsterdam, portando con sé anni di esperienza nel settore, fondi, e titoli. La prospettiva di un nuovo centro finanziario con base sul continente europeo certo fa gola alla Commissione UE.

Tradendo Londra per l’Europa, sono già 7.500 i posti di lavoro che sono stati trasferiti dall’Isola al Continente, e oltre  beni per oltre 1.2 trilioni di sterline sono sbarcati su territorio oltremanica.

In particolare, il 4 gennaio, dopo la transizione Brexit e primo giorno di riapertura dei mercati azionari, lo scambio di azioni europee si è spostato bruscamente da piattaforme londinesi a piattaforme europee, per una perdita registrata a Londra di 6.3 bilioni di euro.

I colossi bancari Goldman Sachs, BNP Paribas, Citigroup e JP Morgan Chase & Co., che ormai navigano sempre più col vento in poppa verso l’Europa, si sono anche rivelati propensi a investire sulle risorse umane locali, limitando il trasferimento dello staff dalla City e assumendo personale in Europa, per un migliore e più stretto rapporto ‘fornitore-clientela’.

C’è però chi gioisce di fronte a un mare inglese in tempesta. I fondi speculativi, concentrati nella zona di Mayfair di Londra, premono infatti per una deregolamentazione, e vedono lacci e lacciuoli come una spina nel fianco dell’innovazione.

Questi fondi speculativi raccolgono capitali non tanto in Europa, come le banche che popolano Canary Wharf e la City londinese, quanto in Asia e Medio Oriente, e guardano quindi con stizza alle direttive europee sui gestori di fondi di investimento alternativi (AIFMD).

Sunak come la Thatcher in Regno Unito: La finanza verso un Big Bang 2.0?

A non perdersi però d’animo di fronte a un intero settore finanziario in agitazione, è il Cancelliere del Tesoro britannico, Rishi Sunak.

Ottimista, spera anzi in un futuro roseo, o meglio esplosivo, perché rivela la prospettiva di un “Big Bang 2.0” del settore finanziario, proprio come quello esploso negli anni ’80 in era thatcheriana.

Tramite riforme volte a conquistare le nuove frontiere del mercato finanziario, Sunak pensa al lungo termine e lo fa in maniera innovativa.

Si parla di tecnofinanza (Fin-Tech), di finanza sostenibile (“green”) e di scambio di quote d’emissione.

Mercati in rapida crescita che il Regno Unito spera di infiltrare tramite nuovi rapporti con le Americhe, Singapore, Giappone e Svizzera. Nuovi accordi con la Svizzera previsti già per il primo trimestre dell’anno.

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