La Console Rossella Gentile, ripercorre le sue esperienze di vita e di lavoro e parla della comunità italiana che ha trovato nel Regno Unito.
La Console Rossella Gentile, orgoglio lucano ed esperienza professionale a Londra
L’orgoglio lucano nel mondo vede una delle sue massime espressioni in UK nella figura del Console Rossella Gentile, che dalla seconda metà dello scorso anno è arrivata a Londra nel Consolato Generale d’Italia diretto da Domenico Bellantone, portando la sua solida esperienza professionale e la sua sensibilità personale al servizio della comunità italiana presente.
Mamma di due bambini di 5 e 2 anni, ci racconta cosa significa per lei rivestire il suo incarico in una delle città più cosmopolite al mondo, riuscendo a far combaciare il suo ruolo prestigioso di Console con quello, complesso e articolato, di mamma e moglie.
Console a Londra dal 15 settembre 2023: quali sono state le eventuali prime incertezze (se ce ne sono state) legate a questo ruolo?
Provenivo da un’altra esperienza, quella a Singapore, dove ho svolto l’incarico di Vice Capo Missione (dell’Ambasciata d’Italia, n.d.r.) che mi aveva già dato l’opportunità di occuparmi della materia consolare, perché ero anche Capo della Cancelleria Consolare.
La grande difficoltà è stata quella di fare il Console in una realtà molto più grande e complessa, perché se a Singapore mi occupavo di circa cinquemila connazionali, qui mi sono trovata a dovermi occupare di oltre 380mila connazionali iscritti all’A.I.R.E. (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero, n.d.r.), a cui si sommano altri connazionali non iscritti all’Aire e i numerosi turisti che vengono qui nel Regno Unito.
L’altra difficoltà che ho dovuto affrontare non appena arrivata al Consolato è stata quella legata ad una struttura molto più grande, perché io qui ricopro anche l’incarico di Capo del Personale, compito che ho svolto anche a Singapore, ma mentre lì i dipendenti dell’Ambasciata erano sostanzialmente quindici, in questo caso sono oltre settanta.
Quindi in termini numerici, sia per quel che riguarda il Consolato sia per quel che concerne i connazionali, l’avvio è stato sicuramente più complesso.
A Singapore il contesto era più semplice, qui siamo in una Londra che per numero di connazionali è la prima città italiana fuori dall’Italia, la nostra comunità è di una grandezza pari a quella di città come Bologna o Firenze, con una certa varietà di situazioni e di condizioni vissute dai nostri connazionali.
Nel settembre 2019 è iniziato il suo incarico a Singapore. Cosa le ha lasciato quella esperienza sotto il profilo professionale?
Sotto il profilo professionale, molto. Sia perché fare il Vice Capo Missione significa comunque trovarsi a ricoprire, a gestire tutta una serie di responsabilità, perché sei sostanzialmente il numero due dell’Ambasciatore, sia per aver svolto quell’incarico durante i due anni di Covid, quindi con una serie di complicazioni che non erano assolutamente previste.
Complicazioni sia di natura personale, perché come in tutto il resto del mondo eravamo impossibilitati a muoverci, a spostarci, dovevamo osservare tutte le regole abbastanza restrittive che erano state disposte dal Paese.
E in quella condizione abbastanza complessa dovevamo comunque continuare a svolgere il nostro compito e fornire assistenza ai connazionali nelle situazioni più diverse.
Per cui abbiamo iniziato con il sostegno agli studenti che si trovavano lì per percorsi di scambio, aiutandoli a rientrare in Italia, fino anche a situazioni più complicate, come, ad esempio, il decesso di connazionali con i familiari impossibilitati ad entrare nel Paese.
O anche molte famiglie divise, bloccate fuori dai confini di Singapore, perché il Paese aveva deciso di chiudere i confini a partire dal giorno successivo, quindi ci siamo ritrovati con diverse famiglie separate, che sono state riunite solo dopo molti mesi.
Quindi, era appena arrivata a Singapore quando si è ritrovata immersa nel caos pandemico.
Esatto, a parte i primi mesi in cui ho potuto respirare un po’ il clima vero della città-stato, un posto aperto, multiculturale, con un elevato numero di expats.
Poi i due anni successivi sono stati sostanzialmente segnati dalla pandemia. E, dopo i quattro anni canonici, sono passata da Singapore a Londra.
Dopo tutti questi mesi, è possibile tirare già le prime somme del suo lavoro a Londra?
E’ un incarico estremamente interessante perchè penso che la grande ricchezza del mio lavoro sia quella di consentirci di entrare in contatto con una grande varietà di persone.
La nostra attività ci permette da un lato di organizzare un negoziato, di incontrare ministri e capi di Stato, dall’altro di avere a che fare con i nostri connazionali, nelle situazioni più disparate, anche le più delicate, come quelle relative ai minori o quelle riguardanti, per esempio, i detenuti italiani all’estero.
Quindi sicuramente in questi mesi ho avuto l’opportunità di conoscere e apprezzare questa grande varietà di connazionali che si trova qui a Londra, comprese ovviamente tutte le nostre eccellenze (ricercatori, professori, professionisti, imprenditori in ogni ambito).
Il bilancio finora è assolutamente positivo. Sul piano interno sicuramente ho avuto modo e tempo di conoscere tutti i meccanismi riguardanti l’erogazione dei servizi consolari, perché poi noi quotidianamente forniamo passaporti, carte di identità e ogni altra tipologia di servizi ai nostri oltre 385mila connazionali.
Quindi l’obiettivo è anche quello di avviare una serie di miglioramenti dal punto di vista interno organizzativo.
Lei ha studiato Scienze internazionali e diplomatiche a Bologna. uindi, pensava già a questa carriera? Era il suo sogno?
In realtà devo dire di no (ride). Il fatto di essere nata in un piccolo centro della Basilicata, in un’area abbastanza periferica, mi ha spinta, incoraggiata anche dai miei genitori, a voler conoscere oltre, a voler viaggiare.
Quando ho iniziato quella Facoltà è stato per una passione per la politica internazionale che ho sempre avuto, ma pensavo più che altro ad un lavoro nel privato, magari come responsabile delle relazioni internazionali, perché vedevo la carriera diplomatica come un mondo molto lontano dal mio, dalla realtà in cui ero vissuta.
Ho cambiato idea dopo un tirocinio che ho svolto presso il Ministero degli Affari Esteri a Roma, quindi lì mi sono detta “perché non provarci, potrebbe essere alla mia portata”.
Perciò ho svolto un corso di preparazione per il concorso diplomatico presso la SIOI, poi a dicembre 2014 mi sono ritrovata al Ministero degli Affari Esteri come uno dei nuovi giovani diplomatici.
Una cosa emozionante….
Assolutamente sì, servire il proprio Paese, giurare fedeltà alla Repubblica, erano grandi ambizioni che avevo fin da bambina.
Poi nel momento in cui si sono concretizzate è stata sicuramente una grande emozione per me e per la mia famiglia, che per farmi arrivare fino a lì ha fatto molti sacrifici.
Le radici lucane, valori ed esperienze
Lei è nata a Venosa (Potenza), cosa ha portato e cosa porta ancora di sé in tutte le esperienze e in tutte le zone del mondo in cui si sposta per lavoro? Quella ragazza di Venosa è ancora presente dentro di lei, ne sono certa.
Assolutamente. Preciso che sono nata a Venosa ma poi sono vissuta (e cresciuta) a Palazzo San Gervasio, sempre in provincia di Potenza, i due paesi sono molto vicini tra loro.
Penso di portare molto di me, perché l’essere nata in un piccolo centro, dove le occasioni e le opportunità non erano molte, mi ha sicuramente spinta a fare di più e a darmi delle ambizioni più grandi rispetto alla realtà da cui provenivo.
Dall’altro lato quello che ho imparato e quello che mi porto dietro è che con fatica e impegno si possono raggiungere certi obiettivi.
Quello che porto con me sono sostanzialmente gli insegnamenti dei miei genitori e quindi in questo senso dare sempre il meglio di sé è sicuramente la ricetta per poi poter arrivare a certi risultati.
Io ho vissuto nel mio paese per diciotto anni e sono molto legata, molto affezionata alle mie radici lucane, è una cosa che per me rappresenta sicuramente un vanto e un motivo di orgoglio.
Quindi questo sicuramente è quello che porto con me e che caratterizza il nostro essere lucani nel mondo.
Nascere e crescere in un piccolo centro permette anche di dare il giusto peso alle cose? Lascia la possibilità di aspirare a qualcosa di più senza perdere il contatto con quelle che sono le cose veramente importanti della vita?
Assolutamente sì, poi io negli anni passati in Basilicata, ho avuto l’opportunità (che può sembrare un discorso anche un po’ banale) di fare piccoli lavoretti, magari d’estate, tra i quattordici e i sedici anni.
Un’esperienza che già ti pone davanti a quelle che poi saranno le tue responsabilità future, sul lavoro, sull’etica del lavoro stesso, su autonomia e indipendenza.
In questo senso, piccole cose, piccole esperienze poi in realtà possono contribuire a formare una persona.
Come Capo del Personale cerco di valorizzare sul luogo di lavoro le singole esperienze di ciascuno, che siano lavorative, che siano personali, piccole e grandi, perché poi tutte insieme contribuiscono a formare quella persona.
E’ quindi importante non perdere mai il contatto con le proprie radici, ovunque si vada?
Assolutamente, è anche uno strumento di stabilità, perché poi effettivamente cambiando Paese ogni quattro anni, è importante anche per i figli dare loro delle radici, permettere loro di identificarsi, visto che si ritrovano poi a cambiare Paese, casa, amici.
Dare un senso di stabilità, individuare un posto che comunque è per loro casa, riferimento, identità, secondo me è molto importante.
Come riesce a conciliare l’essere Console italiana a Londra con l’essere mamma?
Sicuramente c’è bisogno di una persona al proprio fianco che condivida questa scelta di vita, che sia capace di adattarsi a questi continui cambiamenti, talvolta facendo anche delle rinunce.
Ho la fortuna di avere al mio fianco mio marito, che è molto presente riguardo alla gestione di tutte le attività familiari. Ma c’è una grande organizzazione quotidiana, per cui nella giornata-tipo lui si occupa di accompagnare i bambini a scuola, io lo faccio quando posso.
Lui va a prenderli, perché purtroppo gli orari di uscita non sono compatibili con i miei orari lavorativi, però la sera cerco sempre – a meno che non ci siano impegni lavorativi – di essere a casa, di metterli a letto.
Così il sabato e la domenica per me sono giornate “sacre” che cerco di dedicare completamente a loro.
Italiani a Londra, una comunità attiva e integrata
Che tipo di ambiente ha trovato nella comunità italiana a Londra?
La comunità italiana a Londra è molto attiva, non me lo aspettavo. In una comunità come Singapore è più semplice attivare determinate dinamiche perché l’Ambasciata in un contesto piccolo diventa un po’ il punto di riferimento di tutto il sistema-Paese, di tutta la comunità. Quindi ‘coagulare’ la comunità di connazionali è più semplice.
In un contesto grande, complesso, multiculturale come Londra non mi aspettavo che ci fosse così tanto attivismo.
Io vedo tanto associazionismo, e non lo vedo solamente da quella parte di comunità di italiani arrivati qui molti anni fa per cui, anche a causa delle situazioni che si sono trovati a vivere, hanno cercato di unirsi e di darsi una mano a vicenda, ma questo senso di comunità in realtà io l’ho trovato anche nelle parti più giovani.
Ci sono associazioni di studenti italiani, quindi di studenti che vengono qui per più o meno brevi o lunghi periodi. C’è tutta la comunità scientifica, per esempio, la comunità di ricercatori, professori, professionisti in questo ambito, così come anche tutta la comunità medica. Devo dire che sono rimasta impressionata dal numero di medici professionisti che lavorano all’interno delle strutture ospedaliere del sistema sanitario del Regno Unito.
Quindi una comunità che è integrata in ogni ambito della vita economica, sociale e culturale di questo Paese, ma che però nel tempo mantiene dei legami con il nostro Paese.
Assistendo tutte queste persone, che sono tantissime, secondo lei quali sono i problemi, le maggiori difficoltà che i nostri connazionali si trovano ad affrontare? C’è un problema maggiore rispetto ad altri, per cui gli italiani a Londra hanno bisogno di particolare assistenza o affiancamento?
C’è una parte del nostro lavoro che riguarda l’erogazione dei servizi consolari tradizionali, quindi passaporto, iscrizione all’Aire, trascrizione degli atti di nascita, di stato civile. Su questa tipologia di servizi il lavoro del Consolato è imprescindibile.
C’è poi un’altra parte, di assistenza sociale, che riguarda situazioni più complesse e delicate. C’è una grande varietà, difficile dire se ci sia una difficoltà più grande rispetto alle altre.
Abbiamo assistito, ma questo lo avevo visto già a Singapore, a difficoltà di tipo psicologico, persone sole che non riescono a superare determinate difficoltà; quella è una parte in cui spesso ci troviamo a dare supporto alla persona interessata oppure alla sua famiglia.
Ce l’ha ancora un sogno nel cassetto, personale o professionale, da realizzare?
Sono una persona molto concreta, quindi più che sogni mi prefisso degli obiettivi più o meno raggiungibili. Pensando al mio lavoro sicuramente mi piacerebbe fare un’esperienza, quando magari i bambini saranno cresciuti e più autonomi, in un Paese più difficile, in un contesto più complesso come potrebbe essere quello di una sede bellica. Che non è magari un sogno tradizionale, ma sul piano lavorativo sicuramente sarebbe un’esperienza che mi piacerebbe fare.
Il sogno è quello di continuare ad occuparmi del mio lavoro e di farlo al meglio delle mie possibilità e di riuscire sempre a trovare questo punto di equilibrio, che è delicato, tra vita personale e carriera lavorativa.