Una delle mie venue preferite a Londra è sicuramente il Green Note. Inaugurato nel lontano 2005 a Camden Town, questo spazio accogliente, avvolto da tendaggi scarlatti e abitato da vecchi mobili in legno vero, è un sogno, una storia antica dal lieto fine. La storia in questione è quella di Immy e Risa, che lo avevano immaginato fin da adolescenti come “un posto con un’atmosfera rilassata, intima e amichevole”.
Diversi anni fa, proprio al Green Note, ebbi l’immenso piacere di sentir suonare un musicista che aveva, e ancora ha, molto da dire: Jaz Delorean.
Creare stupore
Londoner di origini cipriote, Jaz, sia come frontman della band Tankus the Henge sia come solista, mentre racconta al piano le storie del suo passato da circense, figlio di una giostra errante che non si è mai fermata, è in grado di mettere in piedi degli spettacoli sempre diversi e sorprendenti. Questa è la sua cifra: creare stupore.
Ora, connettendo i puntini che attraversano la mia esperienza da appassionata sostenitrice di musicisti e, più in generale, di contenitori d’arte indipendenti, vi avevo raccontato QUI una delle mie fortuite e fortunate scoperte più recenti, ossia l’avventura del Brevevita. Natalino e Silvia, gestori di questa palestra creativa, hanno trasportato dall’Italia all’Inghilterra, come la casa di Dorothy Gale dal Kansas a Oz, questo progetto di musica, arte, divulgazione, origine e bellezza, regalandoci un evento che perfettamente sposa quanto detto finora: Lorenzo Kruger in artistico divenire.
Arrivare ad un coro di singolarità
Lorenzo, come Jaz, non ha mai nascosto la devozione cieca, ma non ingenua, al suo progetto artistico e, come rappresentante di uno dei mestieri più antichi del mondo, il suo fine ultimo è arrivare alle persone non come massa indistinta, bensì come coro di singolarità. Ricominciare a suonare e performare dai bar, dalle piccole piazze, dalle fiere di paese, dalle sagre. Senza perderci in cazzate sul cosa sia autentico e cosa no, il messaggio di Lorenzo, di Natalino, di Jaz, di Silvia, di Immy e di Risa arriva forte e chiaro: se dobbiamo vivere, viviamo di bellezza, e questa bellezza viviamola bene.
Sarebbe grandioso vederli suonare insieme, Lorenzo e Jaz.
Nel frattempo vi ricordo la data della performance di Lorenzo Kruger al Brevevita il 24 Novembre, che si raddoppia perché la Brevevita Family e Lorenzo (e cito) “vogliono fare contenti tutti”. Le porte apriranno dunque alle 17 per la prima sessione, che poi proseguirà per un secondo turno.
Dal canto mio, sono già andata a bussare alla porta di Lorenzo Kruger per fargli qualche domanda.
Prendetevi qualche minuto.
Ciao Lorenzo, grazie per l’intervento. Domandone bruciapelo: quali sono gli artisti che ti hanno formato?
Da Freddy Mercury a Frank Sinatra, Bono o Buscaglione, oppure Paolo Conte e De Andrè. I grandi performer ma anche i grandi scrittori di canzoni.
Spesso ti definisci un “iconoclasta mancato”. Quanto è importante per te rompere le regole restando comunque ancorato a una tradizione cantautorale?
Sono uno che ai concerti si annoia terribilmente e così ho sempre paura che il pubblico scappi. Voglio tenerlo incollato lì, perché fossi in loro me ne andrei.
Faccio diventare il concerto una chiacchierata
Da frontman dei Nobraino a cantautore solista: com’è cambiato il tuo approccio alla musica e al palco, ora che sei solo con il tuo pianoforte?
Quando sono seduto al piano da solo faccio diventare il concerto una chiacchierata, un po’ di flusso libero, psicoterapico. Uso il piano a muro al posto del lettino. Invece quando sono sul palco coi Nobraino è tutto fisico e niente di mentale.
Se potessi tornare agli anni d’oro dei Nobraino, c’è qualcosa che rifaresti diversamente?
Sono stato maleducato e altezzoso. Questo mi dispiace e vorrei poter riparare con tutti quelli che credono io sia uno stronzo.
Hai detto che “oggi guardi avanti” rispetto ai vent’anni di militanza con i Nobraino. Quali sono i progetti che vedi all’orizzonte per te, sia in musica sia fuori?
Ho appena aperto una galleria d’arte sotto casa. Vendo quadri di artisti locali. Sto cercando di fare più musica fuori dall’Italia. Sto mettendo in piedi un trio house/techno . Sto scrivendo uno spettacolo teatrale. Non so, mi ci vorrebbero diversi decenni per mettere tutto in pista in maniera decorosa.
I dischi sono delle inutilità nostalgiche
Il tuo progetto “Spazi Miei” ha messo in vendita pezzi della copertina dell’album per scopi benefici. Come nasce questa idea e cosa rappresenta per te il concetto di “spazio personale”?
I dischi sono attualmente delle inutilità nostalgiche e per cui bisogna sempre inventarsi qualche fesseria per venderli. Io mi ero inventato di mettere in vendita spazi sulla grafica del disco dove pubblicare foto, scritte, loghi dell’azienda o quello che volevano. Io sono cresciuto in un hotel a Riccione, si viveva lì, in mezzo a gente che andava e veniva. Non do molta importanza ai miei spazi personali, vivo senza tende, se qualcuno vuole guardarmi nudo sono problemi suoi.
Comporre “a monitor” come hai fatto in Singolarità ha i suoi vantaggi ma anche dei limiti, hai raccontato. Come sarà il tuo prossimo disco? Vorresti tornare a quel contatto umano della sala prove?
Dopo Singolarità ho rifatto un disco con i Nobraino ed era decisamente più suonato. Chitarra basso batteria, molto rock. Adesso rifarei qualcosa di più prodotto.
Racconto di un cambiamento radicale
Parli di singolarità: un titolo ambivalente, come l’idea stessa della “solitudine condivisa” di cui il mondo sembra soffrire oggi. È questa la riflessione che muove l’album?
Non saprei, i brani di singolarità sono finiti insieme per la loro “tensione” emotiva più che per una scelta dei temi. Poi penso che all’interno di un periodo di tempo, lo scrittore finisca per trattare dei temi che gli ricorrono in quel momento e forse un filo c’è. E se quel filo c’è direi che potrebbe essere il tema del cambiamento. Non so quante altre volte la nostra specie abbia vissuto un periodo di cambiamento così veloce intenso e totale.
E l’amore? Nella title track canti “forse stare in coppia non è più una scelta unanime”. La solitudine è anche una questione di relazioni che stanno cambiando?
Vedi come ti dicevo, il tema è più il cambiamento che la solitudine. Il tipo di rapporti che stiamo vivendo è solo uno degli effetti del cambiamento radicale che sta pervadendo la nostra epoca.
Nel brano “Dio T Benedica” parli invece del “coraggio” di certi anni, e di come in fondo ci fosse dentro molta ingenuità. Cosa ti ha insegnato questa ingenuità?
Mi ha insegnato che quando gli idealismi si basano sull’ingenuità sono destinati al fallimento.
Hai parlato anche di “solitudine di massa” in relazione alla società moderna. Secondo te, cosa ci stiamo perdendo davvero nelle relazioni tra le persone?
Abbiamo meno tempo per metterci nei panni degli altri.
La paura del vuoto mi rende barocco
Mi incuriosisce anche molto il concetto di “horror vacui” nella tua musica e nei tuoi testi: come riempi questo “vuoto” creativo?
La paura del vuoto mi rende barocco, quando me ne accorgo divento elegante, quando la ignoro divento una farsa.
Arrivando a “Il Calabrone”, il tema del contrasto tra talento e limiti è centrale. Cosa diresti a chi, come te, sente di avere una “vocazione impossibile”?
Direi di andare a lavorare. Ci sono troppi artisti in giro. Attori, cantanti, pittori, musicisti, registi, fotografi, ballerini, scultori, creativi di tutti i tipi. Basta! Siamo più noi del pubblico.
Se potessi chiudere questa intervista con una provocazione, quale sarebbe?
”Gesù entra in falegnameria:“Babbo mi hai chiamato”
”Giuseppe :”No mi sono solo dato una martellata sul dito”