Home Cultura & Società Marco Gambino è Supulcius, nessuno e centomila

Marco Gambino è Supulcius, nessuno e centomila

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Marco Gambino interpreta Supulcius sul set di Those about to die

Oggi parto alla rovescia.

Avete presente quando accade qualcosa o incontrate una persona e subito dopo il vostro cervello comincia a ruminare nella memoria per trovare un’assonanza che connetta quell’evento a qualcos’altro? Un crocevia di emozioni, di colori, di fotografie, di vecchi film?

Dopo aver incontrato l’attore Marco Gambino, originario di Palermo e figlio d’adozione londinese autenticata (da ben 37 anni), ho vissuto questo lungo momento che mi ha portato a disegnare nell’aria delle suggestioni. Ciò che ne è uscito fuori è stato un bar in Provenza dove Lucio Dalla e Bertolt Brecht s’incontrano per dare vita a un personaggio.

Ecco quel personaggio che ”la casa dove è nato l’abita senza luna quando dorme sul prato”, completamente immerso nell’ambivalenza dell’essere e del non essere attore abita la pelle di Marco Gambino, seduto con me in un bar sì, ma ad Haymarket.

Marco Gambino (photo credits Jamie Genovese)
Marco Gambino (photo credits Jamie Genovese).

Erase and rewind.

È una giornata meteorologicamente priva di senso, che ben presto ritrovo perché vivo a Londra. Il centro è impaccato di turisti e scolaresche europee in vacanza-studio, che temevo di non vedere più causa Brexit. È sempre colpa di Brexit. Imprecare contro Brexit non sarà mai peccato.

Evitare la parola ”io”

In ogni caso, Marco arriva spaccando il secondo. Ha il saluto gentile, come gentile è il suo modo di ordinare una tazza di caffè nero. Mi anticipa che per tutta l’intervista proverà ad evitare la parola ”io”. ‘‘Io ho fatto questo, io ho scritto quest’altro. Ma basta! Noi! Noi! Noi! cos’è l’io senza il noi?” Io rispondo tra me e me: teatro epico.

Marco è tornato da poco dal settantesimo Festival di Taormina, dove ha presenziato all’anteprima del film ”Il giudice e il boss” di Pasquale Scimeca, che racconta la vera storia del giudice Cesare Terranova e del suo aiutante, il poliziotto Lenin Mancuso, uccisi nel 1979 per mano degli uomini del boss di Cosa Nostra, Luciano Liggio. Marco Gambino in quel film interpreta il ruolo del pentito mafioso ”Ciannuzzo” Raia.

Marco Gambino interpreta Supulcius sul set di “Those about to die”.

Il ”Sandalone” Those about to die

Stando alle dichiarazioni rilasciate durante l’ultimo incontro del 3,2,1 Action! Marco, nonostante abbia combattuto e continui a combattere la mafia con gli strumenti che si è costruito, ossia la scrittura e la recitazione, raccontandosi aveva espresso il desiderio di tornare ad esplorare ruoli che fossero estranei alla parte oscura della Sicilia, o meglio, all’Italia. E, sempre come dice lui ‘‘Continuando a seminare, prima o poi i frutti crescono”.

I suoi sono andati a finire in mano alla seconda dinastia imperiale romana, quella dei flavi, interpretando il ruolo del senatore Supulcius nella serie Amazon Prime “Those About to Die”. Diretto dal duo Roland Emmerich/Marco Kreuzpaintner, e sceneggiato dal Robert Rodat di “Salvate il soldato Ryan”“Those About to Die” è un ”Sandalone” di intrighi, lepidezze, amabili villan e tanta tanta CGI.

Per questa intervista siamo partiti proprio da lì.

Marco Gambino (photo credits Jamie Genovese).

L’americano bannato

Marco, raccontaci della tua esperienza sul set di Those About to Die. Com’è stata la costruzione del personaggio e qual è stato l’impatto del contesto multiculturale sul tuo lavoro?

“Allora, l’esperienza è stata unica. Il progetto nasce da un’idea del regista di creare un gruppo di attori che, pur mantenendo la loro unicità linguistica e culturale, lavorassero insieme. Nonostante tutti parlassimo inglese, non c’era nessuna forzatura nel linguaggio. Si trattava di un inglese variegato, con accenti spagnoli, svedesi, danesi, norvegesi, francesi. La protagonista, Cala (Sara Martins), è francese e interpreta un personaggio etiope. Questo mix di accenti e origini ha dato al progetto una dimensione molto autentica e soprattutto l’accento americano è stato semi-dichiaratamente bannato. Non avere quella sensazione di lontananza che l’americano può dare quando si parla dell’antica Roma ha reso il tutto più sensato, perché l’inglese “sporco” ma chiaro ha dato coerenza alla messa in scena”.

L’ammirazione per i costumisti

Quale altro aspetto ti ha colpito?

“I costumi. I costumi sono stati fondamentali per conoscere il mio personaggio. Ho sempre trovato affascinante il lavoro dei costumisti. Cuciono il carattere, la persona che l’attore andrà ad interpretare. Come se ti leggessero il copione ad alta voce e te lo presentassero sotto un’altra veste. Gianni Casalnuovo, il costume designer per questo progetto, è stato eccezionale. È anche candidato a un Emmy per i costumi di ”Ripley”. Il suo lavoro non si limita a ”vestire”, ma a dar forma e sostanza ai personaggi. Per ”Those About to Die” le toghe sono state l’emblema di questo studio minuzioso. Le stoffe necessarie sono state selezionate con grande cura, dopo vari invii dall’India. Ogni toga doveva avere un certo tipo di panneggio e spesso ci volevano due persone per aiutarti a indossarla correttamente”

Marco Gambino in Those about to die (illustrazione di Simone De Leo).

L’intransigenza di Roland Emmerich

Com’è stato lavorare con gli altri attori e con il regista?

“Il lavoro con gli altri attori e con il regista è stato incredibile. Non c’era una gerarchia rigida, eravamo tutti sullo stesso piano. Questo senso di uguaglianza e condivisione ha creato un ambiente di lavoro molto positivo, pur rimanendo intenso. In particolare, la nascita dell’amicizia con l’attrice tedesca Gabrielle Scharnitzky è stata per me significativa. Ricordo una scena in cui lei, che interpreta il ruolo della nutrice nella casa del senatore Marsus (Rupert Penry-Jones), pur rimanendo immobile, ferma in un angolo era completamente immersa nel personaggio. E gliel’ho detto subito dopo il cut. ”Complimenti perché ero lì che ti guardavo apparentemente senza fare niente, ma ho capito che in quel momento eri Drusilla”. Poi poverina è inciampata in una piscinetta perché non ha visto un gradino e ci siamo spaventati tutti. Lavorare con Roland invece, che ha molta esperienza, è stato prezioso. Anche se la sua intransigenza può sembrare dura, rispetto il suo impegno e la sua capacità di mantenere un alto standard”.

L’uomo che vince perdendo

Come hai ottenuto il ruolo e come hai preparato il tuo personaggio?

“Ho ottenuto il ruolo grazie alla casting agent Michela Forbicioni, che già conosceva il mio lavoro. Dopo aver fatto il provino a dicembre, ho avuto notizie solo a marzo. Michela è andata dal regista più volte per dirgli di visionare la mia tape. È stata una grande soddisfazione sapere che quanto avevo seminato stava finalmente dando i suoi frutti.

Il mio personaggio, Supulcius, è un senatore romano e capo dei corridori di bighe al Circo Massimo, appartenenti alla fazione dei Verdi. È interessante perché fa soldi perdendo, una sorta di investitore che guadagna con le perdite e le informazioni che vende. Non è un personaggio che mi somiglia, ma è affascinante. Per prepararmi, mi sono immerso nella storia romana, visitando il British Museum e leggendo i lavori di Mary Beard. Ho cercato di ristudiare il contesto e il mondo in cui si svolge la storia”.

Il ”baby” Cicerone

E come hai trovato la vita a Roma durante le riprese?

“Roma è sempre stupenda. Anche se il lavoro è stato intenso, abbiamo trovato il tempo per esplorare e goderci la città. Siamo stati a Trastevere, e i miei colleghi inglesi si sono acclimatati nei pub locali. Mi univo a loro, anche se preferivo prendere solo una mezza pinta che mi è costata il soprannome di ”baby”. È stato bello condividere momenti di relax e fare loro da Cicerone. Soprattutto per quel che riguardava i ristoranti”. [ride]

Impariamo a dire di no

Hai avuto momenti difficili o particolari durante le riprese?

“Sì, ho vissuto una situazione piuttosto critica in cui un attore è stato licenziato in tronco durante le prove. È stato un momento delicato per tutti. L’attore in questione, nonostante sia molto bravo, si è lasciato sopraffare dall’emozione. Questo episodio mi ha fatto riflettere su quanto sia cruciale una comunicazione chiara e una buona gestione dei conflitti sul set.

L’altra esperienza dolorosa te la introduco lanciando un messaggio: impariamo a dire di no. In un ambiente come questo, è cruciale mettere la propria sicurezza al primo posto. A me è successo che mi hanno chiamato mentre ero in albergo, aspettando che il tempo migliorasse per girare una scena. Ho ipotizzato che potessero chiedermi di fare qualcosa, ma non mi avevano avvisato ufficialmente. Alla fine, mi hanno fatto fare una prova di stunt, alquanto pericolosa, senza neanche consultare il regista. Questo tipo di richiesta è inaccettabile, e ho dovuto affrontare delle conseguenze serie. Per mesi non sono riuscito nemmeno a fare una passeggiata di 500 metri senza fermarmi per il dolore. Quando Roland lo ha saputo è andato su tutte le furie”.

Marco Gambino (photo credits Adrian McCourt).

Appartengo al teatro

Dove ti senti di appartenere di più, al teatro o al cinema?

“Decisamente al teatro. Il teatro mi dà una gioia speciale per vari motivi. Ho più tempo per studiare e prepararmi, con settimane di prove che mi permettono di lavorare approfonditamente sui personaggi. Nel cinema, mi sento spesso prigioniero del punto di vista del regista e del montatore. Il teatro mi offre la possibilità di esplorare il personaggio in modo più completo e di interagire direttamente con il regista, il che arricchisce l’esperienza artistica. In più sono un accanito frequentatore di teatri. Sono sempre lì che osservo, studio. Il teatro è la mia scuola”.

E del fare teatro in Italia, della possibilità di far riscoprire la sua importanza nonostante i tagli e l’allontanamento del pubblico, cosa ne pensi?

“È una sfida, ma credo che ci sia speranza. Ho visto i lavori di Roberto Cavosi, un grande drammaturgo, e ho trovato il teatro a Roma, sebbene non strapieno, con un pubblico diverso rispetto a quello a cui ero abituato. In Italia il pubblico tende ad essere più intellettuale e meno variegato rispetto a Londra, dove trovi persone di tutte le età e background. La differenza è evidente: a Londra c’è una ricca varietà di audience e stili teatrali, mentre in Italia sembra esserci una certa uniformità. Credo che per riportare il pubblico a teatro sia necessario diversificare l’offerta e coinvolgere più persone con stimoli differenti”.

Marco Gambino interpreta Supulcius in “Those about to die”.

L’Enrico IV di Richard Harris

Hai accennato a un sogno legato al teatro. Puoi dirci di più?

“Il mio sogno è calcare almeno una volta un palcoscenico di teatri che considero luoghi eletti, come il National Theatre, il Royal Court, il Donmar o l’Almeida. Quando sono arrivato a Londra, dopo un distacco violento dalla mia famiglia, ho trovato conforto in un Enrico IV di Pirandello al West End con Richard Harris. Questo mi ha fatto capire che, anche lontano dalla mia terra, potevo ritrovare quello che avevo lasciato. Il mio sogno è in linea con chi sono e con quello che amo fare”.

Provate a contare quante volte ha detto la parola ”io”. Anzi, ve lo anticipo: zero.

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